MoneyRiskAnalysis – Borsadocchiaperti

S'ode un grido nella vallata. Rabbrividiscono le fronde degli alberi, suonate le campane, il falco è di nuovo a caccia!

TO TAPER significa “assottigliare”. Con questo termine le banche centrali indicano un’azione mediante la quale diminuiscono gli interventi sul mercato. Questa mossa avviene una volta che l’economia si incammina nella direzione voluta dalle banche centrali, in quanto il perdurare di interventi massicci finirebbero per generare un pericoloso surriscaldamento le cui conseguenze sarebbero ben peggiori. Parliamo di tapering semplicemente perché nella precedente settimana una banca centrale minore, ossia quella canadese, per la prima volta, dall’inizio della pandemia, ha ridotto gli acquisti di bond da 4 mld settimanali a 3 mld e questo è stato letto come un’anticamera di quello che potrebbe fare la Fed nei prossimi mesi. Il motivo della decisione della banca centrale canadese è da ricercare nella crescita del Pil durante gli ultimi due trimestri che per molti versi assomiglia a quanto accaduto negli Usa.

Durante la riunione della Fed della settimana scorsa non sono emersi commenti in favore di un cambiamento della politica monetaria, mentre è stato ribadito il concetto secondo cui sarà preferibile un intervento tardivo piuttosto che preventivo, in quanto sarebbe il male minore. Tuttavia, a nostro parere, è necessario fin da adesso guardare al prossimo futuro, in quanto i dati usciti negli Usa, mostrano una crescita superiore alle attese, accompagnata da un’inflazione che benché non sia su livelli di intollerabilità, sta iniziando a creare qualche sospetto. A questo possiamo aggiungere l’ennesimo annuncio dell’amministrazione Biden in merito agli interventi economici, che ad oggi ammontano ad una cifra monster pari al 30% del Pil, spalmabili nei prossimi anni, che contribuiranno a tenere alta la crescita e soprattutto la tensione sui prezzi. E’ chiaro pertanto che dalle prossime riunioni Fed, a partire da quella del 16 giugno prossimo, la parola tapering potrebbe affiorare inevitabilmente, rendendo i mercati alquanto nervosi, almeno fino a che il tutto non sarà ufficializzato. Per meglio prepararci su questo tema abbiamo analizzato in modo alquanto dettagliato l’unico precedente, risalente al 2013, per osservare come i mercati si sono comportati durante la fase di discussione del tapering e quella post decisione.

Per la prima volta, il 22 maggio 2013, Bernanke utilizzò il termine “tapering”. Ciò non passò assolutamente inosservato dai mercati, i quali dettero vita ad una pesane correzione soprattutto sulle aree che avevano maggiormente beneficiato del quantitative easing come i mercati emergenti. La reazione dei mercati fu tale, che il dibattito in merito alla diminuzione degli interventi durò addirittura molti mesi, con la Fed che ufficializzò il tutto solo il 17 dicembre del 2013. I mercati ebbero quindi a disposizione oltre 7 mesi per metabolizzare la diminuzione degli interventi, a tal punto che una volta avviato il tapering ripresero a crescere. CURIOSITA’: Il termine tapering utilizzato da Bernanke fu preceduto circa tre mesi prima da un intervento di Powell, allora membro del CdA della Fed, con il quale si affermava la necessità di ritirare gli aiuti.

Da qui possiamo intuire due cose:

La prima che Powell non è e non sarà più espansivo di Bernanke.

La seconda che spesso un intervento importante del Governatore della Fed, viene preceduto da numerose dichiarazioni dei membri del Fomc al fine di preparare al meglio i mercati.

Quindi per le prossime settimane aspettiamoci una giostra di interventi da parte dei presidenti delle Fed locali, in particolar modo di quelli presenti nel board, mediante le quali si spingerà in favore di una diminuzione degli aiuti. Con molta probabilità, tutto ciò porterà i mercati ad un livello di nervosismo più elevato rispetto al solito sia sulla parte equity che bond, almeno fino a che non ci sarà chiarezza riguardo all’ufficializzazione di un tapering che prima o poi dovrà essere messo in pratica. Solo alla sua ufficializzazione sarà il momento di concedersi qualche rischio in più, mentre quello che più preoccupa è la fase di incertezza, nella quale sarà preferibile essere più osservatori che vittime dell’ansia. Sempre nell’ultimo comunicato della Fed, Jerome Powell ha utilizzato il termine SCHIUMOSO, riferendosi alla parte equity, indicando quindi la presenza di bolle speculative non trascurabili, ma sparse. L’ultima volta che il termine schiumoso fu utilizzato, risale ad una dichiarazione di Alan Greenspan: “Anche se una “bolla” immobiliare su scala nazionale non sembra probabile, sembra che ci siano al minimo segni di “schiuma” in alcuni mercati locali dove i prezzi degli immobili hanno raggiunto livelli insostenibili.“ Era il 18 settembre 2007.

Pertanto il termine utilizzato da Powell nell’ultima riunione deve essere letto come un primo monito in favore di un mercato quantomeno poco ricco di opportunità a breve termine, in attesa che la probabile schiuma svanisca. LE DIFFERENZE CON IL 2013: L’unico precedente che abbiamo a disposizione riguardo al tapering presenta delle differenze sostanziali, che vanno ricercate soprattutto nell’azione temporale delle varie banche centrali. Dobbiamo infatti segnalare che in quel periodo, una diminuzione degli interventi Fed coincise con l’inizio di due importanti quantitative esasing. Boj nel 2013 e Bce nel 2014 compensarono di gran lunga i minori acquisti della Fed e questo spiega piuttosto bene il motivo per cui all’avvento del tapering le borse iniziarono a crescere in modo sostenuto. Questa volta invece le cose sembrano non coincidere perfettamente in quanto le banche centrali si sono mosse all’unisono e in modo alquanto simile potrebbero comportarsi nel caso di prime restrizioni. Per certi versi la situazione attuale sembra meno sotto controllo rispetto al passato e questo dovrebbe servire ad una maggiore diffidenza.

In sostanza potremmo trovarci difronte ad un tapering concertato fra le varie banche centrali, magari differito di qualche mese, che inevitabilmente andrebbe a sottrarre liquidità al mercato in modo permanente. Nel 2013, come detto in precedenza la minor liquidità riveniente dalla Fed, fu largamente compensata dal QE monster della Boj, che era già presente da mesi e dall’entrata in campo della Bce che a inizio 2014 iniziò ad acquistare titoli sul mercato. Ad oggi Bce e Boj hanno addirittura superato il maestro, monetizzando rispettivamente oltre il 60% e il 130% del pil. Una differenza ancora più eclatante rispetto al 2013 deve essere ricercata nella distribuzione della liquidità stampata. Il QE nel 2013 aveva interessato principalmente acquisti sui bond al fine di abbassare i tassi e gonfiare gli asset, sia finanziari che immobiliari. Oggi la gran parte della liquidità stampata, oltre ad interessare inizialmente una parte degli asset si è riversata principalmente sui redditi delle famiglie, che adesso sono pronte ad utilizzare il bazooka dei consumi.

I redditi personali complessivi negli Usa a marzo 2021 hanno visto una crescita del 21,1% (il più vistoso aumento dal 1959) grazie e soprattutto agli aiuti governativi, finanziati ovviamente da una Fed che nel corso degli ultimi 12 mesi ha stampato ben 4 trilioni di dollari. A quanto pare, quindi siamo arrivati ad interessare il fondo della piramide, in termini di aiuti, ossia quella parte che incide maggiormente in termini di consumi (aumentati del 4,2) e di inflazione. Se da un lato vediamo un crescente potenziale di consumi, sul lato dell’offerta si stanno presentando quelle problematiche che temevamo a tempo debito, a causa di una ripartenza della domanda.

Il 44% delle piccole imprese USA ha segnalato carenze temporanee o altri problemi della catena di approvvigionamento a marzo, secondo un sondaggio condotto su circa 800 aziende da Vistage Worldwide Inc., una società di consulenza aziendale. Un’indagine dell’US Census Bureau sulle piccole imprese, completata all’inizio di aprile, ha rilevato interruzioni della catena di approvvigionamento nel commercio all’ingrosso, nella produzione e nell’edilizia. Molteplici forze stanno guidando i problemi della catena di approvvigionamento, dalle infezioni da coronavirus tra i dipendenti e chiusura temporanea delle attività, all’aumento della domanda man mano che i vaccini prendono piede e le restrizioni si attenuano. Dalla fine del 2020, come ormai sappiamo, una gravissima carenza di microchip ha colpito molti settori industriali: la domanda supera di molto la capacità produttiva mondiale e le fabbriche che fanno ampio uso di processori hanno dovuto ridurre i turni o perfino chiudere temporaneamente. Il problema non sembra interessare solo il settore auto (soltanto negli Stati Uniti si stima che quest’anno saranno prodotte 450 mila automobili in meno) bensì anche quello degli elettrodomestici e degli smartphone. Solo per una parte, la carenza di microchip sembra dovuta agli effetti provocati dalla guerra commerciale Usa-Cina che aveva accelerato il processo di approvvigionamento al fine di evitare sanzioni.

CONCLUSIONI: Le dinamiche inflattive non sembrano limitarsi ad un problema temporaneo o alla volatilità delle materie prime, ma possono essere cercati in fattori molteplici, che inevitabilmente porteranno le banche centrali a intervenire più celermente di quanto previsto. I mercati azionari, se da un lato non si mostreranno indifferenti ad un cambiamento di politica monetaria, dall’altro potranno comunque guardare con occhio costruttivo ad un ciclo economico che sembra aver intrapreso un trend di crescita interessante e per molti versi sostenibile, se consideriamo la maggior distribuzione di ricchezza. Da qui ci sentiamo in dovere di escludere pericolose ricadute dei mercati, mentre potremmo, casomai, mettere in conto correzioni fisiologiche destinate ad essere assorbite anche in tempi relativamente veloci. Del resto, banche quali la Boj hanno chiaramente avvertito che saranno disposte ad intervenire qualora il mercato azionario manifestasse situazioni di pericolo. Le banche centrali, quindi, rimarranno sempre ben disponibili ad assorbire eventuali situazioni di stress. In ottica di lungo il mercato azionario sembra destinato più di tutti a proteggere il potere di acquisto, insieme all’oro, il quale tuttavia potrebbe soffrire maggiormente a causa di un cambiamento di politica monetaria, stando all’unico precedente visto ne 2013. Sempre poco attraente il mercato obbligazionario (preferiamo bond inflation linked core Usa, in ottica di protezione portafoglio), sulla scia delle aspettative inflattive in corso. Ancora non fuori pericolo la compagine emergente.

Categories: Miscellanea

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