MoneyRiskAnalysis – Borsadocchiaperti

S'ode un grido nella vallata. Rabbrividiscono le fronde degli alberi, suonate le campane, il falco è di nuovo a caccia!

Il Dragone cambia Politica Economica (dalla settimanale del 02.05.2015)

In questa settimana (la precedente) il dato culminante è stato il PIL americano, salito solo del 0.2% contro le previsioni del 1%. Questo dato ha affossato tutte le borse mondiali e ha portato la Fed a non parlare di rialzo dei tassi a breve.

In fondo se la più grande e potente economia mondiale rallenta, il mondo rallenta. Il ragionamento è molto semplice. E se rallenta in un periodo di tassi a zero e di liquidità iniettata dalle banche centrali a iosa nel mercato mondiale (si calcola che dall’inizio della crisi sono stati iniettati nel sistema 5300 trilioni di USD da tutte le banche centrali mondiali) la cosa ci fa riflettere sull’essenza stessa del capitalismo e sulla sua sostenibilità.

Ecco perché gli occhi si girano subito verso l’asia e in particolare  la Cina.

Con gli USA praticamente al top dei loro consumi e l’Europa ferma al palo nonostante gli stimoli (per ora si vedono solo dati constrastanti su un recupero europeo e tanta speranza, ma niente di più) chi puà salvare almeno ancora per un lustro il capitalismo sono il miliardo di cinesi pronti a diventare borghesi e consumare i prodotti creati dal capitalismo.

La Cina quest’anno è cresciuta “solo” del 7.5%, contro una stima del 7,4%. Uno 0.1% insignificante ma che è il primo segno negativo dal 1998 quando l’economia era indebolita dalla cosiddetta “febbre asiatica dei mercati” e soprattutto il più basso dal 1990 quando il regime cinese aveva scontato le sanzioni internazionali per la repressione di Tienanmen crescendo del 3,8%. Basti pensare ad esempio che nel 2007 la Cè cresciuta di un incredibile 14%, tanto per dirne una. Del resto, va anche detto che la crescita del 7% nel 2014 è equivalente in valore assoluto a quella del 14% nel 2007, ovvero 700 miliardi di USD, visto che l’economia cinese ha un pil di 10 trilioni di dollari, seconda per il momento solo agli USA.

I problemi per Pechino sono evidenti: eccesso di capacità produttiva, domanda globale debole per la crisi che ancora affligge le economie occidentali, mercato immobiliare interno in forte ribasso (questo settore da solo vale più del 15% del Pil cinese e sale al 20-25% con l’indotto). Il governo cinese da un paio d’anni ha avvertito che era necessario ristrutturare, riequilibrare la crescita per renderla «sostenibile»: significa trasformare il sistema per trent’anni orientato verso la produzione a basso costo affidata a industrie altamente inquinanti e l’esportazione (sostenute da un credito enorme che ha creato una montagna di debito interno) e creare le condizioni per aumentare la domanda interna di beni di consumo. Ora si valuta che i consumi interni valgano intorno al 35% del Pil cinese (rispetto a oltre il 70% in Occidente) e l’obiettivo di medio termine e di farli salire fino al 55%.

Però l’inflazione resta bassa, segno che i consumi non decollano: il 2014 si chiude intorno al 2% e per il 2015 già si prevede che possa scendere all’1,8.

Il rischio è che Pechino a questo punto manipoli di nuovo il corso della sua moneta, spingendo lo yuan al ribasso. La banca Mondiale nel suo ultimo report teme contraccolpi per le economie globalizzate.

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Il governo cinese, ad dimostrazione della volontà di voler aumentare i consumi interni a dispetto degli investimenti statali, ha ridotto anche i dazi verso i beni di lusso proveniente dall’esterno.

L’obiettivo quindi è chiaro: si agli investimenti statali (il governo dovrebbe varare un piano da 1000 trilioni di dollari per collegare ad alta velocità 1 miliardo di persone entro il 2020) ma contemporaneamente crescita delle domanda interna.

La crescita della domanda interna richiede nuove politiche statali che permettano di investire in assett nuovi e non solo in azionario interno o immobiliare interno e del resto un cambio culturale.

Essendoci un welfare molto ridotto e un regime pensionistico non paragonabile a quello occidentale, il cinese medio risparmia per il futuro. Si calcola che la famiglia cinese media risparmi circa il 40% del reddito, contro il 5,2% USA e l’1,8% di quella giapponese. C’è quindi ampio spazio per la crescita. Ed è questo che sostiene il governo cinese e in particolare il suo primo ministro: serve una nuova normalità e la nuova normalità nasce dalla spesa interna delle famiglie. Questo deve essere il nuovo motore della crescita cinese. E queste sono le parole del primo ministro cinese a Davos a Gennaio 2015. Era dal 2009 che un capo di governo cinese non andava a Davos, a dimostrazione dell’importanza del cambiamento in atto.

E’ chiaro che la Cina non può più crescere solo con l’export a basso costo (soprattutto in un periodo in cui le economie occidentali non accennano ad aumentare la richiesta) e solo con gli investimenti statali (si calcola che la Cina abbia utilizzato negli ultimi 3 anni più cemento che gli USA nel XX secolo, fonte UBS), ma deve guardare al suo interno.

Nel 2020 la Cina dovrebbe quindi essere, nei piani del governo cinese, la prima economia mondiale, basata su forti investimenti statali e contemporaneamente su una forte domanda interna, con una stabilizzazione demografica ( si calcola ci saranno circa 125 milioni di ultra 65enni) e una crescita sostenibile.

Il percorso che ci si aspetta in questi  5 anni è quello che ha interessato la Korea o Taiwan.

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Nel 2020 le famiglie che guadagneranno almeno 16mila USD saranno il 57% contro il 8% del 2012. Ci sarà una massiccia urbanizzazione e ci si aspetta che i cinesi, più disposti a muoversi rispetto a qualche anno fa, saranno in 250 milioni ad andare nelle città.

Sebbene come dicevamo i cinesi sono molto propensi al risparmio, un sondaggio di McKinsey indica come il trend  stia cambiando e i cinesi siano sempre più propensi a consumare per esigenze personali o per esigenze legate all’individualità.

I settori più trainanti saranno il mercato dall’automotive, il personal care, i beni di lusso e l’ecommerce.

Il mercato dell’ecommerce cinese è quello più monitorato, avendo un bacino enorme di utenza. Chi non conosce Baidu, il colosso dell’ecommerce di Bejing. Se il governo riuscirà davvero a collegare ad altà velocità tutta la cina entro il 2020, i negozi online potranno avere un’ulteriore fase di espansione.

I cinesi sono inoltre molto attenti al personal care. I cosmetici sono comprati in quantità industriale, come prodotti per il benessere del corpo, vistoche l’urbanizzazione sta portando lo stress e la cura che spingono questo settore. Si stima che il settore possa crescere di 70 miliardi di USD entro il 2020.

L’automotive è il terzo settore da monitorare. Il mercato è già il più esteso al mondo, ma nel 2020 si venderanno 30 milioni di automobili l’anno. Una cifra monster se paragonata a quella di altri mercati.

Infine il lusso. I cinesi costituiscono già il 47% del mercato globale, con una spesa di 102 miliardi di USD l’anno. Oggi, i prodotti che vanno per la maggiore sono orologi, cosmetici, profumi, prodotti per la cura personale e borse in pelle. Sebbene oggi le piattaforme online non siano il mezzo più comune per effettuare acquisti di questo genere, nel 2020 è molto probabile che le stesse diventino molto più utilizzate.

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Concludendo il dragone sta cambiando pelle: l’investimento interno deve diventare il motore della crescita, come intuito dai governati cinesi e come sottolineato anche dal Fondo Monetario Internazionale a febbraio.

Questo per proseguire la vita del capitalismo che nelle economie occidentali sembra arrivato al capolinea?

 

 

Categories: cina

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