MoneyRiskAnalysis – Borsadocchiaperti

S'ode un grido nella vallata. Rabbrividiscono le fronde degli alberi, suonate le campane, il falco è di nuovo a caccia!

Forse non molti sanno che il primo congresso europeo è avvenuto a Vienna il 4 ottobre 1926 in una stanza in cui campeggiavano i ritratti di Napoleone, di Nietzsche, di Kant, di Mazzini e di Hugo.

Si rendeva così omaggio ad alcuni dei più illustri precursori dell’unità europea; ma, per ovvie ragioni di spazio, molti altri venivano dimenticati e la direzione del convegno se ne scusò con i convenuti. I partecipanti erano 2000 provenienti da 24 nazioni. Il congresso approvò il primo manifesto paneuropeo.

In realtà da Carlo Magno, a cui molti attribuiscono il merito di primo fondatore di un’Europa unita, molti hanno pensato e auspicato l’unità del continente; un’unità politica, religiosa, culturale, mercantile. Diversi gli obiettivi, i processi, i contesti. Ma almeno fino alla prima guerra mondiale il mito e l’utopia hanno prevalso sulle ragioni dell’economia e della politica. Solo dopo la prima guerra mondiale, l’idea europeista, fino ad allora espressione del pensiero di grandi individualità, diventava programma di movimenti militanti, intellettuali politicamente impegnati e di elitè dirigenti. Solo nel primo dopoguerra l’idea di un’Europa unita diventava progetto e dopo la seconda obiettivo della grande politica internazionale. Non si trattava più di voci isolate ma di espressione di un dibattito che coinvolgeva movimenti di opinione e politiche di governo. Le due guerre mondiali diedero infatti all’Europa un duro colpo che contribuì ad accelerare un declino già iniziato. Essendo l’Europa non più protagonista della scena mondiale, questo permise ai singoli membri di capire che era necessario unirsi per mantenere un certo ruolo a livello internazionale.

È chiaro ormai che si stava assistendo alla fine di un mondo, di una cultura, di una civiltà, e solo un’evoluzione di questo mondo avrebbe permesso al mondo stesso di esistere.

Non mi soffermerò a raccontare tutta la storia dell’unione europea perché sarebbe noioso oltre che inutile, vorrei però porre alla tua attenzione una riflessione.

In tutti contesti in cui si è parlato di Europa, costituiti da piccoli gruppi di intellettuali illuminati o da ministri dei governi l’idea di fondo era quella di costituire un’unità politico economica che fosse in grado di far fronte a difficoltà interne ed esterne e presentare una forza comune di stampo, come detto, politico economico sociale e militare.

Nella crisi in cui viviamo, e che per molti è alla fine o perlomeno così dicono alcuni governanti italiani, è risultato evidente che in Europa ognuno si fa un po’ gli affari suoi e che gli aiuti, i sostegni, le unioni vengono pagati al prezzo più caro possibile, che è il prezzo della sovranità.

Questo perché ogni progetto che sia di unione monetaria, economica, politica si scontra con le resistenze costituite da interessi nazionali corporativi, nonché con il ritorno di spiriti nazionalisti estremisti sempre più forti a causa della crisi, mentre le urgenze della crisi finanziaria sottraggono energie e attenzione ad ogni altro obiettivo che non sia quello di contenerne gli effetti economici e sociali più immediati.

Se è pur vero che la crisi ha interrotto un cammino che, negli ultimi anni, era diventato difficile e tortuoso, e ha fatto emergere differenti divisioni in rapporto al modo di stare in Europa e di concepirne le potenzialità e i limiti, essa ha offerto anche l’occasione di chiarire le scelte per il futuro e di smascherare quello che prima sembrava un gruppo di nazioni amiche e che si è rilevato poi un gruppo di nazioni in cui ognuno cerca di salvare la propria economia e individualità.

Ma anche altri episodi non strettamente economici ( sebbene chiaramente con base di potere economiche ) hanno mostrato come gli Stati europei e in particolare addirittura quelli che hanno fondato l’unione europea, sembrino un’accozzaglia di ragazzi che litigano per il pallone: esempio chiaro è stato l’intervento della Nato in Libia, assolutamente non coordinato dall’unione europea in cui ogni Stato europeo si è mosso come riteneva opportuno e spesso a discapito degli altri, o perlomeno degli interessi degli altri.

Va tenuto presente che le nuove realtà di un mondo globalizzato non permetteranno all’Europa di mantenere il livello d’influenza e quello di benessere di cui ha goduto fino ad oggi. La ridistribuzione della ricchezza mondiale, inevitabile con l’arrivo di altri attori, potrà richiederci, almeno in una prima fase, qualche rinuncia e imporre qualche revisione del nostro modo di vivere e di lavorare; tuttavia, pur accettando qualche sacrificio, potremo mantenere la capacità di confrontarsi con le potenze emergenti e di restare nelle posizioni di testa in materia economica, di cultura e di progresso sociale. Ma se gli europei decidessero di arrestare il processo verso l’integrazione dei loro paesi e delle loro politiche, o addirittura di tornare indietro rispetto alle mete già raggiunte, si condannerebbero all’irrilevanza ed un futuro di precarietà e di marginalizzazione, sebbene nel medio termine qualche stato potrebbe anche ottenerne benefici economici. Il dibattito sulle prospettive del rilancio dell’unione politica, ripreso in concomitanza con la crisi, induce a sperare in un recupero del progetto europeo e nella sua rifondazione.

Basta guardare il grafico seguente per capire che l’Europa conterà singolarmente sempre meno



Se invece ci guardiamo uniti, siamo primi al mondo (wikipedia, fonte IFM 2012)


Un’Europa unita è necessaria prima di tutto gli europei: si potrà discutere dei trattati, delle modalità, della sovranità, e di quant’altro si voglia, ma credo che se nel futuro vogliamo contare ancora qualcosa sullo scenario internazionale la strada da percorrere inevitabilmente ma anche concretamente sia quella.


A meno che a qualcuno non interessi tenere l’Europa unita per motivi ovviamente economici. Che alla fine il primo paese ad uscire dall’Europa possa essere la Germania? Tra 1 mese esatto ci saranno le elezioni, poi vedremo la linea del probabile (anche se di certo non c’è niente) “vecchio” governo con Angelina al comando.

Aforisma della settimana
Oggi la nostra teologia è l’Economia. (J. Hillman, Il potere)

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