“Quest’anno sarà l’anno dei titoli value”
Il solito mantra che ormai sentiamo da troppo tempo e che sistematicamente finisce per rivelarsi una bufala.
GROWTH & VALUE (da Bankpedia):
Termini con i quali si indicano due tipologie di titoli e cioè quelli che hanno un potenziale elevato di crescita (growth) e quindi un rapporto prezzo su utili (price/earnings ratio) molto alto e quelli che, al contrario, hanno un determinato valore intrinseco (value), in quanto sottovalutati dal mercato e dunque caratterizzati da un p/e molto basso. I primi sono generalmente più volatili e maggiormente soggetti a variazioni di prezzo consistenti, anche in un arco temporale assai ridotto. I secondi, invece, vantano una maggiore stabilità di prezzo nel tempo.
Il concetto è semplice, ma la pratica assai complicata.
Apple ad esempio fino a qualche anno fa era un titolo growth, mentre oggi è un titolo value.
E allora come la mettiamo? E per fortuna che la stessa Apple sta difendendo l’onore dei value in questi giorni, altrimenti il gap sarebbe ancora più evidente.
Apple a parte le cosiddette azioni FAANG appartengono al settore growth e tutte cinque insieme riescono a capitalizzare una fetta predominante dei mercati globali, dopo ripetuti anni di over performance. Fra qualche anno le stesse 5, quando cioè avranno smesso di investire oltre misura e consolidato le posizioni attualmente predominanti, con molta probabilità entreranno a far parte dei cosiddetti value, mentre altre società assetate di conquista e con idee innovative sgomiteranno fra loro all’interno del settore growth.
Quindi per ricapitolare, fino a qualche anno fa un gestore value doveva stare alla larga da Apple, facendo finta di niente proprio nei periodi di maggior lievitazione delle quotazioni.
Forse sarebbe stato meglio affidarsi ad altri metodi meno ortodossi in grado di stare al passo con i tempi, vista la velocità di cambiamento al quale è soggetta la civiltà di oggi?
Inoltre, ad un gestore growth niente impedisce di comprare Apple nonostante un p/e relativamente basso, se la società presenta margini di crescita importanti nel lungo, mentre sarà impossibile per un value mettere in portafoglio Tesla. Quindi quest’ultimo ha un raggio di azione molto più limitato rispetto ad un gestore growth.
Tutto questo per dire che estremizzare una strategia sulla base di filosofie di investimento non paga mai nel lungo periodo.
Con il concetto di diversificazione si intende anche l’utilizzo di più metodi di investimento e non solo mixare all’interno di un paniere ristretto. “Ah quanto apprezzo le multi-strategy”!!!
Gli indici sono sempre più growth
Solo i 5 titoli FAANG messi insieme superano una capitalizzazione di 5 trilioni di dollari, pari a due volte e mezzo la borsa tedesca. La loro incidenza sull’indice della borsa americana è predominante, ragione per la quale i flussi in entrata su etf rappresentativi di indici e fondi a benchmark (gestione passiva) finiscono per premiare gli stessi 5 indipendentemente dalle prospettive.
E’ chiaro quindi che in caso di deflussi, gli stessi titoli saranno i più penalizzati, ragione per la quale i value saranno maggiormente performanti in presenza di un mercato bearish, cosa che al momento non sta ancora accadendo.
Proprio, in questi giorni, se guariamo al primo grafico il settore Growth ha ripreso vigore nei confronti del value, il che si addice ad un mercato bullish per le ragioni descritte sopra (flussi in entrata su equity).
Quindi, tradotto in termini puramente tecnici il settore growth possiede storicamente un beta superiore ad 1, mentre il value nettamente inferiore, mentre la correlazione rimane comunque alta su tutte e due i fronti.
Ciò significa che in caso di rialzo dei mercati il growth tenderà sempre a performare meglio (beta più alto), mentre il value conterrà le perdite (che comunque si manifesteranno a causa della correlazione elevata) in caso di trend bearish.
Da un punto di vista pratico, in situazioni di mercati bearish o quantomeno incerti i fondi cosiddetti flessibili (ancora meglio i multi-strategy) dovrebbero svolgere un ruolo determinante nella creazione di valore aggiunto.
Per quanto riguarda invece posizionamenti strategici sul mercato dell’equity, la precedenza dovrebbe andare in favore di fondi con il più ampio raggio d’azione possibile, mediante la quale viene delegato al gestore la facoltà di costruire il portafoglio secondo criteri di opportunità e non in base a paletti predeterminati (growth o value – small o large cap – Europa o Usa etc etc).
Quanto descritto sopra rappresenta un percorso formativo iniziato ormai da anni e non un incentivo a investire su una filosofia piuttosto che un’altra.