Bond Madness
Sebbene i fari siano sempre sul mercato azionario, che è sempre più dinamico e divertente (sia per gli investitori che per i media) per l’aumento della liquidità e della volatilità, il mercato su cui sta avvenendo l’esperimento mondiale più importante, interessante e rischioso, è quello dei bond.
Attulmente ci sono più di 10 trilioni di debito mondiale (contro 45 trilioni complessivi) a rendimento negativo (che oscillano di 0.5 trilioni a settimana dopo il Brexit, essendo molto debito a ridosso dello zero). Dagli ultimi dati (Bank of America) sembra che il valore negli ultimi giorni sia arrivato a 13 trilioni.
Grafico 1 – Distribuzione debito a tasso negativo (fonte: Bloomberg)
Il quantitativo è enorme e vedremo più avanti che sta crescendo in una spirale che sembra non avere controllo.
Per fare questi calcoli bisogna tenere presente che ogni nazione ha una mole di debito solitamente commisurata alla bontà della sua economia e al suo indebitamento complessivo. Il giappone, come si vede dal grafico, ha più debito di tutti gli altri sotto zero (in USD, quindi paragonabilissimo), perché d’altra parte ha una mole di debito enorme (230% del pil, basti pensare che il Giappone ha il quadruplo del debito italiano con un pil che e’ due volte quello italiano).
Il secondo stato a beneficiare maggiormente di questi yield negativi non è la Germania (come molti pensano) ma la Francia, che sebbene paghi un rendimento maggiore rispetto alla Germania sulle stesse scadenze, ha più debito quindi in proporzione ha più bond a tasso negativo. E sorpresa, i quarti siamo noi. Alla faccia di chi ritiene che la situazione attuale non ci stia aiutando (e diciamocelo, anche molto, a non pagare interessi in eccesso sul nostro debito).
I tassi negativi in Europa li “sfruttiamo” un po’ tutti (non solo italiani, tedeschi e francesi). L’Italia li utilizza per pagare debito negativo fino a 3 anni (il famoso ombrello BCE), la Francia fino a 9 anni, la Germania fino a 15.
Quindi per calcolare i beneficiari dei tassi negativi non solo va valutato il rendimento a 10 anni (o la prima soglia a cui i tassi sono positivi), ma anche l’ammontare di debito complessivo e la distribuzione del debito (ovvero quanto debito lo stato in esame ha di breve termine, medio termine e lungo termine).
Grafico 2 – Curve di rendimento per bond AAA (linea continua) e non AAA (linea tratteggiata) in eurozona (fonte: BCE)
Evidentemente la Francia ha più debito fino a 10 anni di quello della Germania, altrimenti non si spiegherebbe il fatto che abbia più debito a tasso negativo rispetto alla Germania (anche se di poco) pur avendo rendimenti negativi a 9 anni contro 15.
La Germania paga per l’80% del suo debito tassi negativi (quindi qualcuno la paga per frasi prestare soldi), la Svizzera per il 100% (fino ai bond a 50 anni) e il Giappone per l’80%. Siamo quindi in un mondo in cui i governi considerati maggiormente sicuri si finanziano ricevendo soldi, e quelli meno sicuri anche ma su scadenze più brevi.
Grafico 3 – Rendimento bond zona euro sui 10 anni (fonte: TradingEconomics)
Grafico 4 – Distribuzione debito in base al rendimento (fonte: Bloomberg)
Il Grafico 4 fa riferimento ad un periodo leggermente pre-Brexit (quando il debito sotto zero era ancora “solo” a 9 trilioni circa). Quello che si evince chiaramente è che la maggior parte del debito governativo è in territorio negativo o sotto l’1% di rendimento. Nel secondo gruppo (sotto 1%) c’è anche molto debito USA.
La spirale dei rendimenti negativi sta funzionano come un buco nero perché il meccanismo a cui si collega è questo: più i bond diventano negativi più si accelera il meccanismo perché appena il bond oggetto di aquisto diventa negativo gli istituzionali cambiano assett perché è necessario fare rendimento.
Quindi gli istituzionali si spostano su dei bond magari prossimi allo zero ma leggermente positivi tirando sotto zero anche quelli. E così la ruota continua, in un circolo vizioso. Solo che i compratori sono in numero consistente (fondi pensione, fondi obbligazionario, banche centrali, aziende per parcheggio liquidità, retail) mentre le emissioni a tassi accettabili sono in riduzione e i bond in circolazione sempre più rarefatti dalle banche centrali.
Il tutto in un mercato con offerta sempre minore dove le banche centrali hanno vuotato i book di buona parte dei bond sotto zero dal mercato (e anche dei bond prossimi allo zero), costringendo gli istituzionali a spostarsi su altri bond a più lungo termine o di natura più rischiosa e abbassandone il rendimento.
Quando poi anche questi sono finiti sotto zero, si ripete il giro.
Il tutto andando a comprare debito che è sempre meno sostenibile (rischioso) o sempre più caro (fino al punto di pagare per indebitarsi), perché c’è la necessità di rendimento.
Chi performa meglio in uno scenario del genere?
Solitamente i meno attenti al rischio.
Chi è attento al rischio continua a switchare da un bond a basso rendimento (poco sopra zero) che poi va a zero ad un bond successivo leggermente più rischioso e di rendimento sempre vicino a zero. Mi spiego con un esempio:
- Bond 1: rendimento 0.5 rischio 1 (dopo 1 anno questo bond è sotto zero, quindi passo ad altro bond)
- Bond 2: rendimento 0.5 rischio 1.5 (dopo 1 anno questo bond è sotto zero, quindi passo ad altro bond)
- Bond 3: rendimento 0.5 rischio 2 (dopo 1 anno questo bond è sotto zero)
Questo è l’approccio prudente.
L’approccio poco attento al rischio è:
- Bond 1: rendimento 0.5 rischio 1 (dopo 1 anno questo bond è sotto zero, quindi passo ad altro bond)
- Bond 2: rendimento 1 rischio 2 (dopo 1 anno questo bond è sotto zero, quindi passo ad altro bond)
- Bond 3: rendimento 1.5 rischio 3 (dopo 1 anno questo bond è sotto zero)
Il tutto in una spirale dove i rendimenti sono inevitabilmente tendenti allo schiacciamento (fino a che il meccanismo funziona) e dove la performance è superiore più rischio si prende perché il rischio viene cancellato dalle banche centrali e dalla necessità di rendimento (run to yield).
Il tutto sta diventando difficile da sostenere, in particolare da metà 2014. Le assicurazioni, i grandi fondi pensione e gli investitori di lungo periodo (istituzionali e non) necessitano di rendimento per posizionare i loro capitali e dare ritorni agli investitori. Per capire il concetto portiamolo prima al retail per poi istituzionalizzarlo.
Prendiamo un padre di famiglia, abituato al vecchio concetto di cedola con cui “si va in vacanza”. 5 anni fa comprava btp a 75 magari a 10 anni con rendimento del 3-4% nel mezzo della crisi del 2011, ora scadono (li aveva presi che avevano già qualche anno dall’emissione) e si trova a doverli comprare sopra la parità (questo viene percepito come una perdita in conto capitale dal retail) e rendono magari solo lo 0.5% o 1% … Allora una volta avrebbe preso quelli bancari, ma le banche sono in difficoltà e danno poco rendimento … e quindi che fare?
Passiamo quindi al ragionamento istituzionale: un fondo obbligazionario che ha un track record da rispettare e che non sa dove mettere i 10 miliardi di bond in scadenza ad un tasso adeguato mantenendo un rating che corrisponda al suo statuto, come può procedere?
Oppure ancora, pensiamo ad un’assicurazione o ad un fondo pensione che devono garantire un 2% di rivalutazione annuo delle loro polizze. Come fanno in questo periodo?
Grafico 5 –Come il debito negativo è cresciuto nel tempo (fonte: WSJ)
Semplicemente possono continuare prendendo più rischio con i loro track record o esigenze. Ed e’ quello che sta avvenendo.
Nella settimana del 6 Luglio i fondi obbligazionari emergenti hanno visto il più grandi inflow da quando ne vengono registrati i dati, secondo i dati di Bank of America. Questo perché anche gli istituzionali stanno dimenticando lentamente il concetto di rischio per la necessità di rendimento che li sta letteralmente soffocando.
Rashique Rahman, Boss per gli emergenti di Invesco, sottolinea come ormai anche agli istituzionali Europei ed Asiatici non interessi più se i bond sono del Messico, della Polonia o della Corea del Sud.
Vogliono rendimento. Tutto qui.
Il tutto mentre il credit rating sugli emergenti si sta deteriorando. Secondo Fitch sono in dirittura d’arrivo altri 20 downgrade dopo i 15 del primo semestre 2016, tutti dovuti principalmente ai bassi prezzi delle commodities. Il livello di downgrade è pari a quello del 2007.
Inoltre si stanno generando anche segnali disallineati inviato all’economia causa tassi eccessivamente bassi.
Ad esempio i Treasuries americani hanno visto una riduzione dei rendimenti che storicamente era associata a un rallentamento dell’economia, che al momento non trova riscontri nei dati USA. Il tutto principalmente dovuto allo schiacciamento dei rendimenti a 10 anni per i meccanismi sopra indicati.
Un altro esempio è dato dallo spread tra il rendimento a 2 anni e 10 anni dei bond USA. Il restringimento della forbice storicamente era sintomo di rialzo dei tassi da parte della Fed. Ora non sembra esserlo (vedremo il 27 al FOMC).
Ricky Liu, high yield portfolio presso HSBC, dice di avere ricevuto le prime richieste da investitori istituzionali asiatici per avere in portafoglio bond high yield con il massimo rating possibile.
Questo conferma lo spostamento verso il maggior rischio dei portfolio manager.
Anche sui bond corporate i rendimenti si stanno schiacciando.
Questo è un ulteriore problema per gli istituzionali. Nel mondo ci sono già 250 miliardi di euro di bond corporate che vengono scambiati a tasso negativo. E pochi giorni fa Walt Disney Co. ha effettuato l’emissione di bond a minore rendimento della storia, con un 1.85% a 10 anni e un 3% a 30 anni.
Anche su questo fronte quindi retail e istituzionali sono in difficoltà rispetto alla media storica e sono quindi in difficoltà a mantenere i loto track record di risultati.
D’altra parte come i governi, le aziende si stanno indebitando ai tassi più bassi della storia e questo dà upside al mercato azionario, fino a che i tassi non si alzeranno.
E poi cosa succederà quando le banche centrali non compreranno più debito?
Le banche centrali stanno già pensando a questo. Bernanke ha consigliato al Giappone di emettere bond perpetui da poi far comprare alla BOJ, una sorta di “cancellazione del debito” dove si pagano solo gli interessi mentre il debito non deve essere ricomprato periodicamente. E forse su questa strada si andrà, dove il debito in pancia alle banche centrali, comprato con soldi stampati, verrà semplicemente fatto sparire con artifici come i perpetui o semplicemente cancellato, togliendo uno 0 dal database informatico in cui c’è scritto il numero di debito comprato del “tal paese” e ascrivendo qualche dato nelle perdite di bilancio.
Per le aziende le cose saranno più dure perché il mercato dovrà riallinearsi e non avranno più liquidità facile da comprare nel mondo, direttamente nella propria valuta o mediante carry trade.
Li allora si ridurranno i margini aziendali e l’azionario si allineerà maggiormente all’economia reale.
Alcuni spiegano il tutto dicendo che con la deflazione globale, anche il rendimento a zero va bene perché preserva il capitale. D’altra parte altri sostengono (dati alla mano) che l’economia globale è in crescita, per cui il ragionamento sopra non sta in piedi.
Il sistema in verità sta in piedi, fino all’inflazione (generata dal consumo o dalla mancanza di offerta) o allo sfinimento degli istituzionali.
Il giorno in cui l’inflazione partità, le banche centrali non potranno che alzare i tassi e allora i tassi dei bond salire. A quel punto ci sarà un’uscita generalizzata dai bond a zero rendimento e un back-to-reality che al momento sembra rinviato di anno in anno.
A quel punto la bolla degli zero-yield si sgonfierà facendo uscire denaro verso rendimenti migliori e si tornerà al mondo che si conosceva prima del 2008.
Le aziende dovranno indebitarsi in base alla loro profittabilità e i governi stare attenti ad emettere debito. Si tornare a parlare di credit rating e di sicurezza dei bond.
Fino ad allora, risulterà difficile fare rendimento, perché un 5% del 2016 non è un 5% del 2013 (qe Usa) o un 5% del 2010.
Il tutto dovrebbe essere consentito dagli obiettivi delle banche centrali che mirano al 2% di inflazione, al momento molto lontano grazie a petrolio e alle politiche monetarie.
D’altra parte ad esempio in USA i salari stanno iniziando a salire e questo dovrebbe portare maggiore consumo, con aumento dell’inflazione.
L’equilibrio è molto sottile, perché le banche centrali hanno lo scopo di stimolare l’ecomomia “il giusto” tenendo sotto controllo l’inflazione. E al momento di inflazione in alcune zone dell’europa non ce n’è e i tassi dei bon lo dimostrano.
Si tratterà di capire quando e come l’inflazione inizierà a salire, a quel punto ci sarà un back-to-reality.
Per ora c’è un vero e proprio “yield hunting” (caccia al rendimento), la cui cosa importante è non farsi ingolosire troppo dal rendimento rimanendo bloccati in situazioni rischiose.
Non abbiamo ancora parlato dell’High Yield perché non lo consideriamo se non in piccolissime percentuali come investimento nei nostri portafogli. E’ chiaro che per l’High Yield è tutto a leva, ovvero le aziende con credit rating molto basso stanno beneficiando enormemente dei tassi a zero e anche aziende poco sostenibili riescono a sopravvivere indebitandosi a poco e raccogliendo capitali dal mercato. Questo è anticapitalistico come modello, d’altra parte permesso dal modello economico attuale. Quando si alzeranno i tassi, ne sopravviveranno molto poche.
D’altra parte aziende che in momenti “normali” sarebbero high yield molto probabilmente sono investment-grade perché grazie ai tassi bassi riescono a mettere a posto i loro bilanci e a sostenere il loro business. Il tutto mentre le commodities costano poco e il petrolio pure. Quindi una situazione favorevolissimo per le default-grade per diventare high-yield e per le non-investment per diventare invest-ment. Un rialzo dei tassi ne lascerà molte sul campo.
Il team di MoneyRiskAnalsysis