Nelle ultime settimane si fa un gran parlare di correlazione tra borse (in particolare Wall Street) e petrolio. Secondo gli amanti della matematica tale correlazione non è mai stata così elevata, raggiungendo il picco di 0,80 in scala da 0 a 1. Ovviamente, stiamo parlando solo del periodo che inizia ad Agosto 2015 con una correlazione sempre più stretta fino ad arrivare ai giorni nostri. E’ chiaro invece che se guardiamo al lungo periodo i mercati azionari non ricalcano assolutamente i prezzi del petrolio. Basti pensare al 2008, quando le quotazioni del greggio raggiunsero i 170 dollari, mentre sulle borse si stava consumando il fallimento Lehman.
Ma perché da qualche mese quindi così tanta attenzione? Il motivo è molto semplice, e va ricercato nelle domande che i mercati si pongono in tema di crescita. Siamo arrivati ad un punto in cui il petrolio, dopo essersi depurato degli eccessi dettati da un’offerta esagerata, rappresenta il termometro più sensibile allo stato economico globale. L’offerta Analysis & Research www.moneyriskanalysis.com giovedì 7 aprile 2016 – 2 – è vero rimane alta e con molta probabilità continuerà a salire moderatamente, ma la domanda, secondo le attese non è vista in calo per gli anni a venire.
Pertanto le quotazioni sembrano aver raggiunto un livello di equilibrio importante, fuori dal quale è lecito leggere dei messaggi non trascurabili sotto il profilo economico. Potremmo tranquillamente indicare quindi le seguenti fasce per leggere al meglio lo stato della crescita:
Quotazioni sopra 40 PROBABILE ACCELERAZIONE ECONOMICA
Quotazioni tra 35/40 CRESCITA MODERATA
Quotazioni tra 30/35 CRESCITA ZERO
Quotazioni sotto 30 PROBABILE RECESSIONE ECONOMICA
Certe volte diamo per scontato delle cose che non lo sono affatto, come ad esempio il domandarsi: cosa stanno seguendo i mercati? La crescita oppure i tassi? Per molto tempo gli investitori hanno seguito lo scenario dei tassi. Ad oggi questo catalizzatore sembra perdere smalto, mentre particolare attenzione viene posto sullo scenario economico globale. Adesso siamo arrivati al punto in cui i mercati non credono più agli effetti benefici delle banche centrali in tema di Qe. Basti pensare a cosa sta accadendo in Giappone.
Lo Yen sembra un boomerang che sta cadendo in testa ad Abe e Kuroda con una violenza inaudita, nonostante la carta stampata. Altro caso emblematico quindi di come una banca centrale sia impotente nel combattere la deflazione. Quindi la parola all’economia reale. Quale asset migliore del petrolio, per valutare ai giorni nostri la direzione in cui stiamo andando?
Ecco spiegata la correlazione frenetica del momento. Il prossimo 17 Aprile a Doha in Qatar, si terrà una delle più importanti riunioni dell’Opec, al fine di trovare un accordo per regolare l’offerta di petrolio. Fino a quella data assisteremo a grande nervosismo sul mercato del greggio. I paesi produttori, in particolare l’Arabia Saudita, hanno tutto l’interesse a non far precipitare le quotazioni ulteriormente, dopo aver condotto, con successo, una guerra contro lo shale oil. Dall’altra parte invece troviamo l’Iran, che da pochi mesi è ritornato sul mercato dopo la fine dell’embargo. In questo caso sarà difficile che il paese sia disposto a rinunciare alla prospettiva di poter aumentare la capacità produttiva del 50% entro i prossimi 18 mesi.
A questo aggiungiamo la Libia che prima o dopo tornerà sul mercato. A nostro parere è facile pensare che si cercherà in tutti i modi di stabilizzare le quotazioni, ma senza provvedimenti drastici, fermo restando che la tendenza di fondo mostra uno scenario particolarmente debole, che solo alla rottura dei 41 dollari darà segni di cambiamento. Detto ciò il nervosismo sul Wti da qui al 17 si rifletterà sui mercati azionari. Fra le società che meglio sono posizionate nel settore abbiamo analizzato Chevron. Da notare come molte società stiano aumentando la produzione abbassando enormemente i costi di estrazione. Difficile quindi pensare ad un petrolio sopra i 40 dollari in modo stabile.