C’era una volta una banca centrale che si chiamava Fed e la Yellen era la sua regina. La Regina decise, nel lontano Dicembre 2016, di alzare i tassi, nel mese di dicembre, ponendo l’accento sulla sua volontà di cambiare direzione rispetto alle politiche monetarie dei sei anni precedenti, attivate dal Mago Bernanke. Lo scopo era quello di recuperare la possibilità di rialzare i tassi come arma antirecessione, e di mostrare che l’economia americana era in miglioramento al punto che non era più necessario sostenerla con i tassi “troppo” bassi. Altro scopo era quello di allontanarsi dalla possibilità dei tassi negativi, strada percorsa dal famoso Drago Mario, che l’aveva attuata nel 2014, nel regno della lontana Europa.
La Regina Yellen prese la sua decisione dicendo con chiarezza che avrebbe proseguito questa politica con particolare attenzione all’occupazione (attualmente in miglioramento, sia come quantità che come qualità) e all’inflazione (ancora bassa rispetto al livello target di medio periodo, soprattutto causa il dollaro forte e i prezzi delle commodities, in particolare dell’oil, molto bassi).
L’obiettivo nascosto era quello di portare una convergenza tra economia reale e finanza, che dal 2013 (e non solo) si erano completamente scorrelate grazie agli aiuti monetari effettuati dalla banca centrale stessa e dalle sue pari.
Da inizio 2016 questa convergenza si è palesata in buona parte, con la finanza che ha cercato di allinearsi leggermente (ad oggi) all’economia reale (sp500 è fondamentalmente sotto del 5-6% rispetto al 2016). La spinta è stata forte ad inizio anno (poi le borse hanno corretto in positivo la spinta in discesa). La Yellen e i suoi pari vogliono però evitare che sui mercati finanziari si consumi un massacro con scene di panico e selloff incontrollati.
A questo scopo la Fed, alla luce dei dati positivi relativi all’occupazione e all’inflazione ancora contenuta, può ora lasciare che il dollaro si indebolisca in modo da favorire l’export da un lato (cosa che fa piacere alle grandi aziende USA che esportano in tutto il mondo; questo genera benefici sul mercato finanziario che “tiene” anche grazie alla chiusura della finestra delle trimestrali dette anche periodo dei “no buyback”) e dall’altra parte importa inflazione, migliorando quindi l’inflazione non core. L’indebolimento del dollaro spinge le commodities, aiutando i paesi emergenti e spingendo anche l’oro.
Nel frattempo la speranza della Regina è che l’economia globale tenga, in modo da sostenere l’economia del suo regno (USA), in modo da permetterle di proseguire il percorso di rialzo dei tassi. Questo percorso sarebbe ulteriormente motivato da un rialzo dei prezzi del petrolio e quindi mostrerebbe che la scelta di alzare i tassi è stata azzeccata per evitare inflazione e riportare la finanza vicina all’economia reale.
Quindi sua maestà si sta giocando la prima cartuccia, quella dell’indebolimento del dollaro (o qualcuno lo sta indebolendo a sua insaputa). Se poi sarà necessario o capiterà anche che venga sparata la seconda, il rialzo dell’oil come detto, questo porterà inflazione e permetterà di sostenere i listini (composti da solie aziende oil come Exxon o Chevron) e di portare posti di lavoro e avvicinare l’economia reale alla finanza, mentre la finanza rimane indicativamente ferma.
Arriverà un lieto fine? Chissà, finisce così, questa favola breve se ne va … se ne va ….