Europa sempre più a fondo
(dalla View Weekly di MoneyRiskAnalysis del 09.11.2014)
Durante questa settimana si è consumata la pagliacciata della Bce. Draghi che smentisce categoricamente le voci di tensioni all’interno del board, ufficializzando la tendenza ad alzare gli attivi di ben 1000 mld, Weidmann che il giorno dopo ridimensiona il tutto dicendo che tale provvedimento è solo un’ipotesi.
E’ molto interessante e divertente osservare i commenti della stampa specializzata, che sembrano avvalorare la tesi ingenua, sposando quindi quanto dichiarato da Draghi in tema di voci infondate. La realtà è che all’interno del microcosmo della Bce si stanno manifestando le divisioni più accese dell’Europa, fra chi vuole monetizzare i debiti e chi invece si sente in dovere di tutelare i modelli parsimoniosi dei paesi filo tedeschi. Le forti polemiche, venute alla luce sul Lussemburgo, Olanda, Belgio e Irlanda, sulle tassazioni societarie agevolate, infatti, non sono venute a caso proprio in questo momento. In qualche modo si cerca di portare tutti allo stesso livello.
Del resto questa Europa, è la massima espressione di un modello destinato a fallire, nel quale le contraddizioni politiche la fanno da padrona. Da una parte si consente alle grosse multinazionali di beneficiare di tassazioni da paradisi fiscali, se questi riguardano Paesi amici dei forti, dall’altra invece, si impedisce al Portogallo (grazie alla volontà della Troika) di adeguarsi all’Olanda, affinché possa evitare l’emigrazione fiscale di importanti aziende come Portugal Telekom etc. Mi chiedo come un modello del genere, quanta vita abbia davanti a sé.
Fortuna che nelle ultime ore, anche la Yellen sembra tornata ad ammorbidire i toni dei suoi dibattiti, risaltando la necessità di “aiutare” l’economia attraverso un mantenimento di politiche accomodanti. Detto in sostanza alla Fed, iniziano a temere l’effetto Dollaro, che supportato da un calo verticale del petrolio, rischia di far arrivare la deflazione ben prima del previsto.
Inoltre l’economia americana va bene solo per pochi e male per tutto il resto. Se così non fosse i democratici avrebbero stravinto le elezioni.
Chi veramente ha il dito premuto sul tasto “print” è il Giappone dopo la decisione della Boj di aumentare il QE. Ormai lì il problema non è di tipo economico, bensì di carattere fiscale. I giapponesi nel loro insieme stanno più che bene, se guardiamo al tassi di disoccupazione e al welfare. Il vero problema è casomai come ripagare il 240% di debito e su questo versante la banca centrale sembra essere stato fin troppo chiara. Meglio svalutare che passare da un programma di riforma sociale che per essere portato a termine, necessiterebbe come minimo di 10 anni. Non è un caso che Shinzo Abe abbia trovato proprio nelle riforme il suo ostacolo principale. Queste dovevano essere ultimate a giugno 2014 e invece siamo ancora a doverle affrontare.
Gli Stati Uniti che di welfare hanno ben poco, hanno scelto invece la strada dell’occupazione di bassa qualità, che sta manifestando tutta la sua interezza nella crescita a zero dei salari reali. Dall’altro lato le aziende non hanno mai visto margini così alti nella storia, come è raffigurato nel grafico sotto.
Questo scenario risalta pertanto ancor più la concentrazione di ricchezza che si sta vendendo a creare, nonostante il livello fosse già ai massimi, la quale nel lungo periodo è destinata a provocare una diminuzione dei consumi e quindi a spingere verso il basso i prezzi. Insomma il solito cane che si morde la coda. Presto anche la Fed tornerà a stampare, anche se come detto più volte vorrà salvare la faccia almeno nel breve.
Tornando alla concentrazione di ricchezza, possiamo dire che questa è il risultato di una distorsione del capitalismo, ben pilotata dalla politica, che non ha saputo cedere alle tentazioni messe sul piatto dalle multinazionali. Un sistema politico efficiente dovrebbe mettere tutti sullo stesso piano, al fine poi di prendere decisioni sagge per il bene della collettività. Altra cosa invece è un sistema apparentemente democratico, nel quale i finanziamenti delle lobby hanno vita facile sulle scelte politiche finali. E’ chiaro che da questo baco si creano delle distorsioni evidenti anche in un capitalismo definito “perfetto”.
Il problema è che al momento gli Stati Uniti vengono presi come un modello da seguire, soprattutto nella nostra amata Europa. Livellare verso il basso la qualità occupazionale, togliendo sempre più diritti ai deboli. Questo è l’imput ormai scattato da tempo.
Risultato: in questi anni vi è stata una forte riduzione della forbice del tenore di vita tra paesi emersi ed emergenti. Questa dinamica non poteva sfuggire in un contesto di globalizzazione selvaggia. Pertanto la tendenza è ormai diventata inarrestabile.
Un discorso a parte merita il Giappone. Questo con la svalutazione, oltre cogliere la monetizzazione del debito, sarà destinato a sottrarre grandi quote di mercato all’Europa e ad altri paesi, almeno per quanto riguarda il settore industriale, avvitando ulteriormente verso il basso il Vecchio Continente.
Detto in soldoni: trend di crescita sui Paesi emergenti, stagnazione in Usa e recessione in Europa. Giappone prima di Usa ed Europa. Asia terra fertile.
Anche sugli emerging market dobbiamo fare una selezione molto accurata, onde non trovarci impreparati.
Crollo dei prezzi petroliferi
In questi giorni abbiamo assistito ad un vero crollo dei prezzi petroliferi e ciò aprirà delle ferite piuttosto importanti su alcuni paesi.
Il principale artefice del calo del petrolio è sicuramente l’Arabia Saudita, che negli ultimi due anni ha visto una contrazione dell’export proprio grazie alla diminuzione dell’import americano. Negli ultimi mesi proprio l’Arabia Saudita ha iniziato ad inondare l’offerta al fine rendere meno vantaggiosa l’estrazione di shale oil. Questo a sua volta ha innescato una vera e propria corsa ad aumentare l’estrazione in paesi quali Russia, Brasile etc etc. Teniamo presente che proprio in questi paesi le dinamiche debito/pil sono strettamente legate all’andamento del greggio. Resta evidente che proprio in quelle aree potrebbero presentarsi le situazioni più preoccupanti sotto l’aspetto della solvibilità. Parallelamente anche negli Usa la situazione non sarà così fluida se consideriamo che molte società di piccole e medie dimensioni saranno destinate a chiudere i battenti, con inevitabili effetti sull’occupazione.
Quindi con il termine Emerging Market non dobbiamo al momento generalizzare.
Sempre riguardo al petrolio i prezzi sono ripiombati a ridosso dei minimi degli ultimi 3 anni. Una rottura della soglia dei 73 dollari potrebbe innescare una situazione poco gradevole. Le ragioni del calo, non si limitano solo all’Arabia Saudita, ma anche ad un contesto economico meno forte e ad una quota di fabbisogno diminuita grazie alle innovazioni energetiche degli ultimi dieci anni.
Se ti è piaciuta questa analisi e l’hai trovata ricca di spunti di riflessione, sappi che puoi approfondire ulterioremente qui.