Mentre i media nazionali parlano di Jobs Act, articolo 18 etc etc nei sobborghi dei rinnovi dei contratti nazionali del commercio (federdistribuzione) sta capitando quanto segue:
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[Aggiornamento del 29/09/2014] Il 24 settembre si è svolto l’incontro per la ripresa delle trattative per il contratto Federdistribuzione. La proposta, che segue il nulla di fatto di fine luglio, è quella di sottoscrivere un accordo a costo zero per i datori di lavoro, senza quindi aumenti salariali o altri interventi sul contratto ormai scaduto da 10 mesi.
I sindacati hanno rifiutato la proposta ma si coglie la preoccupazione per una situazione di stallo dell’intero settore e non solo per il rinnovo contrattuale. Nel prossimo incontro previsto ad ottobre saranno presenti, su richiesta di Federdistribuzione, anche i segretari generali.
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Quindi si va dritti dritti verso la riduzione del potere d’acquisto e del salario.
Molto peggio per l’economia, le famiglie e i lavoratori che perdere l’articolo 18.
Dopo aver perso la democrazia, con 3 governi successivi non eletti dal popolo, stiamo passando alla perdita dei diritti lavorativi in nome della flessibilità e della necessità di permettere più ingressi (e le uscite ce le dimentichiamo?) dal mondo del lavoro. Un tessuto produttivo che si è ormai stabilmente contratto potrà avere tutta la flessibilità che si vuole ma non potrà aggiungere nuovi posti di lavoro, almeno alle condizioni attuali.
Cosa possiamo quindi fare?
Investire in cultura.
Sia lo Stato che noi stessi dovremmo capirlo. Dare cultura ai giovani e alle persone è un investimento sempre fruttifero, sempre necessario e sempre qualificante. Che sia mediante un viaggio, un libro, un incontro, un convegno, una rappresentazione teatrale, una mostra, un corso formativo, un’esposizione, una nuova lingua o quant’altro, l’investimento in cultura è sempre long, non è tassabile, non è confiscabile e rimarrà sempre con noi. E dare cultura spesso vuol dire dare lavoro e creare lavoro.