Investire in cultura e ricerca.
Questo è la chiave per fare una grande Italia nel medio termine.
Della situazione italiana ne abbiamo già parlato tante volte, ma come uscirne?
Ho letto un interessante libro “La Geografia del lavoro” di Moretti, che vivendo in USA studia come il mondo del lavoro USA è cambiato negli ultimi 20-50 anni. Il cambiamento è stato piuttosto radicale, passando da un mondo prettamente manifatturiero (GM) a un mondo di advaced manufacturing (CISCO e IBM ad esempio), da un mondo più materiale ad un mondo più hi-tech.
Moretti studia anche con attenzione le aree più produttive USA, nelle quali c’è maggiore fermento di idee e innovazione, sottolineando come questo sia dovuto ad alcuni elementi principali:
- offerta di posti di lavoro
- domanda di posti di lavoro
- concentrazione di aziende produttive di settori diversi
- capacità di attrarre talenti
C’è infatti un rapporto interessante e ambivalente di domanda e offerta tra i punti 1 e 2.
E’ vero che creare domanda di lavoro permette di generare posti, ma sebbene spesso non ci si pensi anche l’offerta di lavoro permette di generare posti di lavoro. Le aziende se sanno che c’è un hub interessante di sviluppo perchè ci sino altre aziende nella stessa zona con gente capace, tendono a stabilirvisi vicino perchè è più facile attrarre persone capaci.
Poniamo ad esempio di dover aprire un’azienda che richiede 10 ingegneri. La apriremo nel deserto del Sahara (lasciando perdere le condizioni climatiche) o nella Silicon Valley? Ovviamente nella seconda, anche se i costi sono superiori. Moretti presenta alcuni esempi di aziende che nel loro paese di origine erano delle discrete startup mai decollate, ma che una volta arrivate in Silicon Valley sono letteralmente esplose, grazie alla presenza di talenti, alla cross fertilization con altri settori e all’humus trovato in questi posti.
Un effetto non secondario di questi hub, che spesso viene sottovalutato, è la mole di posti di lavoro che generano in settori non direttamente collegati alle aziende più altisonanti. Ad esempio, se ho 1.000 nuovi impiegati grazie all’azienda high-tech HT che si è insediata da poco, l’indotto non high tech che viene generato è calcolato in un rapporto 1 a 2 per ogni dipendente, ovvero per ogni dipendente vengono creati 2 posti di lavoro come ad esempio: dentista, parrucchiere, avvocato etc etc
Quindi creare un hub chiaramente tecnologico, perchè è la tecnologia l’elemento “trend” della nostra epoca (ad esempio 50 anni fa era il manifatturiero), può generare numerosi posti di lavoro in settori “non trend”.
Ma come si fa a creare un hub tecnologico: mediante i talenti. Moretti mostra che l’elemento trainante di questi aggregati è ovviamente la presenza di aziende high-tech, biomedicali e di tutti i settori “trend” ma soprattutto la presenza di notevoli talenti.
Basti pensare ad alcuni esempi che porta:
- in USA ci sono numerose università note a livello mondiale. Una di queste era piuttosto importante dal punto di vista della ricerca ma non a livello delle top 10. Per portarla nella top 10, il direttore ha investito una discreta mole di denaro per acquisire due importanti luminari e il resto è venuto da sè. Sapere che questi luminari lavoravano per l’università ha portato a sua volta altri luminari e ha aumentato il numero e la qualità delle pubblicazioni.
- le società USA spendono molto per insediarsi in Silicon Valley. Ma qui possono trovare un offerta di talenti che è notevole, sia per qualità che per quantità. Quindi il mercato dell’offerta è molto vasto e di spessore, ecco perchè vale la pena di andare in Silicon Valley.
Del resto la presenza di aziende di livello attrae talenti: e quindi il meccanismo si autoalimenta sia dalla parte della domanda che dell’offerta.
Quindi coltivare il talento, coltivare la ricerca e rafforzare la scuola, sono elemento fondamentali per il futuro di una nazione.
Non occuparsi di cultura vuol dire commettere il più grande reato possibile verso i propri futuri cittadini, perchè vuol dire impoverire il proprio popolo e renderlo sul lungo termine dipendente da altre civiltà che avranno il sopravvento.
Ma il talento cosa è, cosa va insegnato ai ragazzi di oggi perchè siano competitivi?
Ce lo dice google. Ecco cosa google cerca nei giovani che assume:
5 – Competenze
A parte la capacità di programmare (è pur sempre Google), non serve averne molte. Come criterio, è l’ultimo della lista. Come mai? Semplice: essere esperti, secondo Bock, significa il più delle volte riprodurre i meccanismi appresi in precedenza, e sviluppare anche una certa resistenza al cambiamento, che scambiano (non si sa perché) per fonte di autorità.
4 – Responsabilità
Certo, a Google cercano persone disposte anzi lanciate nel prendersi responsabilità per risolvere problemi o sviluppare progetti. È uno dei punti fondamentali, nel mondo di oggi, che distingue le aziende che vogliono dettare la linea. È importante che non sia incoraggiato l’atteggiamento da esecutori e capi che da tempo non è più in grado di mandare avanti le imprese.
3 – Umiltà
Dote rara. Passione e responsabilità devono essere controbilanciate da una buona dose di umiltà. Il motivo è semplice: serve sempre apertura nei confronti degli altri e delle loro idee, che possono essere più buone delle tue, o basarsi su fondamenta più solide. Serve avere, per dirla con Bock, “Ognuno deve avere, nello stesso tempo, un grande ego e un piccolo ego”. Funziona, ma non è molto facile da sviluppare.
2 – Capacità di leadership
Sempre e comunque, bisogna essere pronti a guidare e assumere il comando in ogni situazione. Ma come si fa a capire se uno è in grado? Il metodo classico, che si basa sulle precedenti esperienze (“Eri presidente del club di scacchi del tuo quartiere? Eri a capo del reparto sale? Quanto tempo ci hai messo per arrivarci?”). Qui non funziona così, per cui se anche non avete esperienze precedenti, possono esseri possibilità.
1 – Abilità di apprendimento
Rubare, prendere cose, impararne nuove e pensare a nuovi utilizzi. Sono tutte abilità che non si imparano e non si possono scrivere su un curriculum, ma che servono tantissimo: ormai, la capacità di “imparare prima dei tuoi competitor cose nuove è l’unico vantaggio competitivo sostenibile”.
Pensiamo davvero che la generazione di giovani senza lavoro che stiamo producendo possa davvero avere queste qualità? Stiamo davvero insegnando in Italia ai nostri ragazzi queste capacità in modo che possano essere competitivi sul mondo del lavoro italiano e globale?
E ultima domanda: questa austerity, questa Europa, ci stanno aiutando in questo percorso di creazione di hub in Europa e in particolare in Italia?
Le risposte sono abbastanza facili da trovare e certo condensare le considerazioni di un libro in un posto non è facile, ma credo sia un punto fondamentale su cui riflettere per chi pensa ad un futuro dell’Italia come protagonista nell’Europa (che a sua volta vuole essere protagonista del mondo), oltre se stesso, oltre la propria esistenza.