MoneyRiskAnalysis – Borsadocchiaperti

S'ode un grido nella vallata. Rabbrividiscono le fronde degli alberi, suonate le campane, il falco è di nuovo a caccia!

Ormai i mercati stanno ragionando in termini di interessi reali effettivi e non più secondo aspettative di
lungo periodo. Il rischio emittente viene considerato ancora, ma molto meno rispetto a qualche semestre
fa.

Prendiamo ad esempio il confronto tra Btp a 10 anni e T-Bond della stessa durata.

Tasso BTP 10 anni 3,16 – inflazione 0,37 = tasso reale 2,79

Tasso T-Bond 10 anni 2,64 – inflazione 1,50 = tasso reale 1,14

Spread reale BTP/T-Bond pari a 165 punti.

E’ interessante notare come lo spread sia perfettamente in linea con quello nominale tra Btp e Bund.

Ma andiamo a vedere altre due cose:

Il Bund a 10 anni offre un tasso reale di 0,45. Questo significa che lo spread reale tra Italia e Germania
staziona a (2,79 – 0,45) 234 punti. Pertanto questo dato rappresenta il corretto rischio emittente.

Altro dato che possiamo estrapolare è quello relativo allo spread reale tra Germania e Usa. Investire in
bond a 10 anni è più rischioso rispetto a un Bund a 10 anni. Tale rischio, a differenza di qualche anno fa
viene prezzato in termini reali ben 69 bp.

Dobbiamo comunque sottolineare che al momento gli Stati Uniti stanno crescendo ad un ritmo pressoché
doppio rispetto alla Germania, ragione per quale il mercato considera correttamente un livello di inflazione
futura più elevato per il paese a stelle e strisce.

Per quanto riguarda l’Itala invece possiamo dire che il rischio paese è senza dubbio diminuito rispetto a due
anni fa, ma non nel modo in cui lo stanno dipingendo i differenziali nominali. In termini reali infatti siamo
passati da uno spread di 430 punti a 234 punti, mentre in termini nominali il calo è molto più vistoso ossia
da 550 a 165.

Pertanto il forte calo dei rendimenti italiani sembra imputabile più ad un crollo dell’inflazione, che ad oggi,
grazie all’austerity, sta rasentando lo zero contro il 3,20 del 2012, piuttosto che ad un’inversione in terminidi affidabilità. A quest’ultima si è sostituita la Bce con le sue dichiarazioni fatte nel 2012 e i prestiti LTRO, mentre addirittura oggi si sente parlare di QE per 1000 mld di euro.

Ma il mercato ragiona correttamente?

Come detto all’inizio, il volano principale di valutazione, sembra il tasso reale, piuttosto che le prospettive
che esso comporta.

Per un Paese come l’Italia, un tasso d’interesse reale vicino al 3% è a mio parere insostenibile, tenuto conto
di un debito (montante) che è ormai arrivato al 132%. 4% di Pil reale destinato al pagamento interessi.

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In questi giorni il Governo italiano ha già rimandato il pareggio di bilancio al 2016, violando addirittura la
legge costituzionale approvata nel 2012.

In presenza di un deficit compreso tra l’1,5 e il 2,60 (obiettivo 2014), è obbligatorio avere una crescita
nominale del Pil di almeno il 2,5 (0,8 reale + 1,7 inflazione) al fine di invertire la traiettoria del debito
pubblico. Questi dati non sembrano proprio raggiungibili in base a ciò che conosciamo oggi.

L’inflazione, causa il livello basso dei consumi, sembra destinata a non accelerare verso l’alto, ma piuttosto vi è il
pericolo di seguire la Spagna che ad oggi presenta già un tasso negativo di 0,15. Per quanto riguarda la

crescita del Pil, stimata in +0,80, sembra possibile, se consideriamo i rimborsi della PA che saranno
effettuati a breve e gli aumenti degli stipendi medio bassi (le famose 80 euro mensili). Queste misure ad
oggi, tuttavia, vanno considerate solo dei tamponi.
Per intenderci, un deficit di circa il 2% in presenza di un’inflazione zero è comparabile con un 5% di due anni
fa.

Anche agendo sulla spesa, se da un lato avremmo un minor deficit, dall’altro incideremmo negativamente
sulla crescita del Pil. Una riduzione di spesa di circa 1% generalmente incide tra lo 0,8 e l’1 in termini di
crescita Pil. Questo è un calcolo ormai testato sulla nostra pelle, oltre che a quella dei greci, spagnoli e
portoghesi. Oltretutto con quello che ne conseguirebbe in termini di deflazione visto che su questo fronte
siamo fra i paesi più a rischio.

Personalmente io non sono l’addetto a trovare la soluzione dei problemi italiani, ma solo a cercare di capire
quali garanzie possa avere un investitore che crede nei nostri Titoli di Stato.
Per i numeri che mi è permesso vedere, è più facile credere in una ristrutturazione del debito entro i
prossimi 4 anni, piuttosto che ad un’inversione virtuosa del debito.

Ciò può essere evitato solo nei casi di:

• monetizzazione del debito da parte della Bce, qualora venisse cambiato il suo mandato. Tanto per
fare un esempio, il Giappone con ben il 240% di debito sul Pil e un deficit sulla Luna, riesce
addirittura ad avere interessi negativi reali dell’1%. Questo grazie alla Boj che sta comprando Titoli
di Stato. Ovviamente fino a che il mercato darà fiducia allo Yen.

• mega patrimoniale accompagnata da un processo di privatizzazioni massiccio. Questo punto ha
meno probabilità dell’ipotesi precedente, visto il caos che si creerebbe nel Paese.
Nel frattempo farei lo spettatore, (come del resto possono adesso permettersi le banche tedesche a
differenza di due anni fa) e non il commediante.

In questi giochi di effetti speciali, oltre il nostro Mondo, sembrano esserci situazioni di maggior sostenibilità
in termini di debito.

Sui mercati emergenti ad esempio troviamo situazioni contrapposte fra di loro.

Ecco qua una tabella per avere un colpo d’occhio della situazione.

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Come possiamo vedere l’Indonesia è il paese che paga un interesse reale sul debito inferiore a tutti, a
fronte di una crescita del 5,72. Non da meno l’India che tuttavia presenta un debito più alto. In una
situazione completamente diversa invece il Brasile, che nonostante un avanzo di bilancio dell’1,9 è
costretto a pagare tassi reali del 6,15. I mercati pertanto sembrano proprio non fidarsi del Paese. E’ chiaro
che una situazione del genere alla lunga, si ripercuote in una pericolosa involuzione che porrà basi poco
solide per il benessere del Brasile.

Se guardiamo agli interessi reali pertanto, l’Italia, benché mediaticamente sembra tutto risolto , non gode
di grande credibilità da parte dei mercati, visto che ci troviamo al 2,8 percento. Una situazione addirittura
peggiore a quella del Sudafrica.

Ovviamente fino ad ora abbiamo parlato di rendimenti a 10 anni. Se diamo uno sguardo ai Titoli inferiori ai
5 anni le cose si complicano ancor più, come ho descritto qualche settimana fa. Per molti Paesi parliamo da
tempo di tassi reali negativi, con duration pericolosissime qualora si risvegliassero aspettative inflattive. Al
momento questo non sembra accadere, tutto sembra sotto controllo, ma non va trascurato il fatto della
massa monetaria immessa sul sistema finanziario, che difficilmente sarà drenata entro i tempi desiderati.

Del resto, se qualche anno fa la liquidità rimaneva circoscritta ai titoli tossici ad oggi la stessa si è spostata
sugli asset più vicini ai risparmiatori, creando un effetto ricchezza che prima o poi si sposterà anche sui
consumi, senza tener conto della dinamica dei salari destinati a crescere in termini reali, vista la minor
concorrenza della globalizzazione.

In questo contesto va da sé che le opportunità sul mondo dei bond sono sempre minori, mentre nasce la
necessità di diversificare gli asset in base ai rischi impliciti che il mercato presenta da qui ai prossimi 5 anni.
Le sorprese potrebbero arrivare ben prima di quanto atteso.

Da quello che ho potuto captare in questi giorni dagli addetti ai lavori, il mercato si sta spostando dai titoli
growth a quelli value. Questo, sempre a detta degli esperti è il sintomo che gli operatori più attenti stanno
pianificando in favore di uno scenario inflattivo di lungo periodo.

In un contesto di ripresa dell’inflazione (che ad oggi appare un’ipotesi remota, ma non certo da trascurare)
l’oro è un asset che ha sempre ripagato le attese. Per tale ragione deve essere considerato in un contesto di
diversificazione volta a salvaguardare il capitale nel tempo.

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Il titolo (appartenente al settore auto) si muove da tempo in un contesto molto positivo. E’ interessante
notare come al raggiungimento dell’obiettivo di quota 90 sia iniziato un consolidamento dando vita ad un
perfetto triangolo compreso tra 92,70 e 87,50.

Segnali di proseguimento della tendenza rialzista pertanto vi sarebbero alla rottura della parte alta con target di breve tra 95,50 e 95, mentre dovremmo parlare di inversione sotto quota 87,50. In questo caso vi sarebbero nuove opportunità di acquisto in area 82.

Il quadro delle medie è molto positivo, accompagnato da una forza elevata rispetto al mercato.

 

 

 

Categories: Miscellanea

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