Chi può aiutare Cetto La Qualunque – corrotto, ignorante, colluso ed erotomane politicante interpretato da Antonio Albanese nel suo ultimo film – a vincere le elezioni di Marina Di Sopra?
L’impresa sembrerebbe spinosa – se non impossibile – per tutti, fuorché per Geddy Salerno, un consulente di comunicazione politica chiamato da lontano, un guru delle strategie elettorali che diventerà il regista della campagna del “Partitu del pilu” e offrirà consigli su ogni singola mossa da intraprendere, dall’allontanamento della scomoda amante brasiliana al public speaking, dalla ripulitura morale con tanto di messa domenicale all’atteggiamento vincente da tenere durante il dibattito televisivo.
Uno che «mentre Gorbaciov ancora stava pensando a cosa fare con il Muro di Berlino, era già lì davanti con il piccone in mano». In altre parole, uno spin doctor: la persona incaricata di presentare le scelte di un uomo o di un partito politico sotto una luce favorevole. Di dare il giusto spin – dal baseball, “effetto rotatorio” – ad una dichiarazione, una notizia, un evento.
Uno dei primi spin doctor fu sicuramente il nipote di Freud, Edward Bernays, definito il padre di tutti gli Spin Doctor. Ideò il primo flash mob della storia: chiamò cronisti e fotografi, radunò un centinaio di ragazze e le convinse, in pieno proibizionismo, ad accendersi una sigaretta. Grazie alla persuasione delle sigarette come simbolo di indipendenza e libertà per il mondo femminile, Bernays era riuscito a raggiungere l’obiettivo principale: aumentare la vendita delle sigarette per aiutare l’industria del tabacco in crisi.
Il compito dello spin doctor, ieri come oggi, è proprio questo: estrarre il meglio da qualsiasi situazione in cui si ritrovi implicato il cliente, offrendo ai media una versione ragionata e “aggiustata” della notizia. Gli strumenti preferiti, generalmente, sono il passaggio mirato di confidenze o notizie anonime ai giornalisti, l’applicazione delle tecniche di marketing al soggetto (trattato quindi come prodotto), la creazione di eventi ad hoc per sollecitare l’interesse ed il consenso dell’opinione pubblica e la comunicazione sistematica ai media della giusta interpretazione da dare alle esternazioni del soggetto per cui si lavora, in modo da arginare la possibilità di critiche o travisamenti.
Oggi la guerra tra i creativi della comunicazione, nel campo della politica, è intensa e all’ultimo sangue. C’è chi architetta la campagna iper-tech 3.0, chi punta sui tradizionali cartelloni pubblicitari ma con lo slogan giovane e frizzante, chi decide di avvalersi di youtube e dei social network. In America e in Gran Bretagna, molte delle decisioni, soprattutto di politica estera, sono prese dallo staff degli spin doctors che, tenendo sotto controllo costantemente il barometro dell’opinione pubblica, lavorano fianco a fianco con il loro responsabile politico e gli consigliano la linea d‘azione da tenere.
In Italia, invece, il ruolo di questi maghi della comunicazione non è così delineato e riconosciuto, ma comunque in crescita. La loro attività è spesso vista con sospetto da giornalisti e cittadini, giudicata amorale, quasi fossero mefistofelici professionisti dell’inganno o della persuasione occulta, “eroi e martiri della spersonalizzazione”.
In realtà, tutte le campagne politiche si avvalgono oggi della loro consulenza.
Persino il movimento creato da Beppe Grillo attraverso il suo blog, vero fenomeno della rete e riuscitissimo esperimento di orizzontalità della comunicazione (o, come ama definirla il genovese, “democrazia digitale”), non è partito dal basso, dalla necessità di condivisione, ma dalla precisa strategia della Casaleggio Associati, agenzia leader nella comunicazione e nel web marketing, che, secondo alcune indiscrezioni, avrebbe ideato persino il “V-Day”.
Lo stesso team di comunicatori è stato poi scelto anche da Antonio Di Pietro, a sua volta munito di blog personale (quanto personale, poi, non è dato saperlo, visto che i domini di beppegrillo.it e antoniodipietro.it sembrano essere domiciliati allo stesso indirizzo).
E se ancora non si fosse convinti della presenza diffusa dei maghi della comunicazione politica anche nel nostro paese, basterà pensare al fenomeno Vendola. Molti italiani, nel 2005, sono rimasti sorpresi di fronte alla vittoria, in una regione legata da sempre alle tradizioni e alla religione cattolica come la Puglia, di un uomo laico, eccentrico e dichiaratamente omosessuale come il politico barese. Eppure, Vendola non ha solo vinto: ha letteralmente trionfato. Chi ha compiuto il miracolo? È stata la campagna ideata da Proforma, agenzia di giovani comunicatori pugliesi, a sparigliare le carte. Gli strateghi della comunicazione hanno puntato proprio su quelle che si pensava fossero le debolezze del candidato e hanno rovesciato a suo favore le etichette che gli erano state malignamente affibiate. Vendola è diverso? Sì, “diverso da quelli che oggi governano la Puglia”. È estremista? Certo, ma solo “nel suo amore per la Puglia”. È pericoloso? Sicuramente, “come tutte le persone oneste”.
Detto, fatto. Vendola recupera e sbaraglia l’avversario.
I risultati di questa campagna elettorale convincono anche Bersani – presentato per l’occasione in abiti informali e con un’aria vagamente rockeggiante, grazie all’accostamento con l’amico Vasco Rossi – ad avvalersi della consulenza dei ragazzi della Proforma per conquistare la segreteria del PD.
Berlusconi, invece, come sempre, pensa in grande e, per il duello con Prodi, ha scomodato addirittura Karl Rove, l’“architetto della comunicazione”, l’uomo-chiave che ha permesso la rielezione di Bush alla Casa Bianca. Tra i connazionali, invece, ha scelto Giorgio Stracquadanio (anche consulente politico della Gelmini) e uno dei più famosi creativi italiani, Gavino Sanna (vincitore a livello mondiale di sette Oscar della pubblicità).
Persino un insospettabile come il verace Umberto Bossi, ha affidato la propria immagine e quella del partito ad un pool di esperti in comunicazione e tecniche audiovisive creato ad hoc e guidato da Gabriella Poli (autrice, giornalista e già responsabile dell’ufficio stampa).
Casini, invece, ha lasciato promuovere il suo bel sorriso da un’agenzia, la Publicis, che gli cura la comunicazione fin dal 2006, quando ideò il pay off “Io c’entro” per la campagna elettorale e spinse il leader a ribadire in ogni esternazione la sua vocazione centrista ed identitaria.
Ma che tipo di formazione scegliere se si vuole intraprendere questa professione?
Secondo Nicola Bonaccini, membro del direttivo di Aicop (Associazione Italiana dei Consulenti Politici e Public Affair), non esiste un percorso specifico. «Le università italiane sono poco utili e troppo polverose. Un salto negli USA non farebbe male». Se si parla di talento e attitudini, invece, sottolinea soprattutto due abilità: «mentalità strategica (quando studia il potenziale elettorato e quando crea le azioni necessarie per la visibilità del cliente) e acutezza sensoriale (capire al volo i punti di forza e i punti di debolezza del cliente)».
fonte: http://www.newsmagazine.it
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Quoto soprattutto questo "La loro attività è spesso vista con sospetto da giornalisti e cittadini, giudicata amorale, quasi fossero mefistofelici professionisti dell’inganno o della persuasione occulta, “eroi e martiri della spersonalizzazione”". In effetti è così. Diciamo che il loro lavoro potrebbe essere meritorio con un'opinione pubblica "sveglia", ma in Italia è come