MoneyRiskAnalysis – Borsadocchiaperti

S'ode un grido nella vallata. Rabbrividiscono le fronde degli alberi, suonate le campane, il falco è di nuovo a caccia!

Ecco come funziona l’economia nel mondo normale.

Il percorso che presentiamo sotto  è da manuale, con gli aspetti tipici di una iperinflazione dovuta a “stampa stampa che tanto non succede niente” che avevamo ampiamente spiegato e documentato nella trimestrale nell’articolo relativo al Venezuela. Ne cito solo alcuni: capitali che vanno all’estero a seguito della svalutazione, protezionismo che fiacca l’export e aumenta il nero, calo delle riserve di moneta estera, tanto per soffermarsi sui più devastanti.

L’argentina, purtroppo per loro, è ancora un posto dove l’economia funziona come dovrebbe.






L’argentina a rischio nuovo default.

A fine 2001 l’Argentina fece il più grande crack sul debito estero della storia. Un incubo ricorrente che sembrava essere solo un ricordo. Dal 2002 il prodotto interno lordo è infatti cresciuto a ritmi dell’8-l’9% l’anno, spinto da un cambio tornato competitivo e dalla ripresa degli scambi internazionali. Una breve frenata nel 2009, poi di nuovo corsa fino al rallentamento degli ultimi due anni.

Mentre l’economia correva il governo di Cristina Fernandez de Kirchner ha varato una serie di provvedimenti degni della migliore tradizione populista. Come ricorda l’economista Mario Seminerio, il governo argentino ha portato avanti politiche monetarie e fiscali espansive, alzando la temperatura di un’economia già surriscaldata.

Ai primi segnali di frenata ha rincarato la dose. I vincoli delle banche commerciali per la concessione di prestiti sono stati allentati mentre la banca centrale è stata forzata a stampare moneta al servizio di politiche di spesa come sussidi a pioggia all settore privato e generosi aumenti ai dipendenti pubblici. Più soldi per tutti insomma. Troppo bello e troppo facile per funzionare davvero.

Infatti non ha funzionato.

Com’era prevedibile l’inflazione si è impennata: secondo discutibili dati ufficiali oggi è al 10% ma realisticamente supera il 25%. L’aumento dei prezzi ha fiaccato l’export, la perdita di valore del peso ha spinto gli argentini a comprare dollari ed esportare capitali. Il rallentamento economico internazionale e il calo delle quotazioni di prodotti agricoli esportati hanno esacerbato problemi. Il risultato è la progressiva erosione delle riserve in dollari che a Buenos Aires servono principalmente per due cose: importare energia e pagare il servizio sul debito. Da qui l’avvio di una serie di misure barocche e spesso controproducenti per tentare di tamponare l’emorragia. Tasse sull’import che hanno aumentato la pressione inflazionistica a ulteriore danno dell’export, restrizioni sui cambi con l’esplosione del mercato nero, divieto di usare dollari per transazioni immobiliari, super commissioni su acquisti in dollari con carta di credito.

A fine ottobre si terranno le elezioni. Dopodiché si comincerà forse fare i conti con la realtà. Ma il tempo è ormai gli sgoccioli.

fonte ilsole24ore

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