Il profitto e la speculazione sono l’unica regola dell’economia? Secondo il giurista Gustavo Zagrebelski, no. Anche negli affari esiste un’etica e spetta alla politica il compito di indicarla.
Etica e Morale
In un universo umano dominato dalla forze dell’interesse, tra le tante nuove critiche che negli ultimi decenni hanno fatto la loro apparizione […] un’attenzione particolare si concentra non da oggi sull’etica dell’impresa e più in generale degli affari. C’è il timore che lo spirito di un capitalismo ormai padrone del mondo, separato da ogni etica e divenuto pura volontà animale di potenza e di arricchimento, sia divenuto minaccia per beni e diritti elementari dell’essere umano, come l’ambiente, la salute, la dignità, l’integrità e la vita.
Ma può avere un senso concreto, o è una pia illusione, accostare etica e affari? Innanzitutto, farei una distinzione per separare etica e morale. La morale ha a che vedere con il retto agire dell’uomo come tale: non commettere ingiustizie, aiutare i deboli, i derelitti e i perseguitati, etc etc Essa vale per tutti allo stesso modo. L’etica ha invece che vedere con il retto agire non secondo l’essere membro dell’umanità in generale, ma secondo la funzione particolare che si è chiamati a svolgere nella società. Ci sono perciò tanti etiche quante le posizioni e le professioni sociali. Per esempio c’è l’etica del magistrato, che rende giustizia senza “guardare in faccia nessuno”; dell’avvocato, che difende il cliente senza sabotare la giustizia; dell’uomo d’affari, che fa i propri interessi senza corrompere gli uomini politici; dell’uomo politico, che cura gli interessi dei suoi concittadini senza farsi corrompere dagli uomini d’affari. Appartenendo ad ambiti diversi, tra etica e morale sorgono continuamente conflitti. L’insegnante che aiuta all’esame il ragazzo poco dotato per gli studi agisce moralmente, ma forse non eticamente. L’imprenditore che, dovendo ridurre i suoi occupati, licenza ad iniziare da quelli meno produttivi tiene un comportamento immorale, ma forse conforme all’etica dell’impresa. L’etica può essere moralmente disgustosa; la morale eticamente insostenibile. […]
L’etica professionale
Un’etica specificatamente propria dell’attività economica risale alle corporazioni medievali. Ernst Troeltsch, il grande storico delle idee del mondo cristiano, ha illustrato questo punto in una celebre opera (Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, 1912). Max Weber l’ha sviluppato con riguardo al capitalismo e l’etica calvinista puritana, in un altro celeberrimo studio (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1904-05) […] Trova espressione, in questo concetto, l’idea che il perfezionamento morale dell’essere umano non sta primariamente, secondo l’ascesi monastica cristiana, nella fuga dal mondo, ma nell’adempimento dei doveri mondani, quali risultano dalla posizione occupata nella vita sociale, ciò che costituisce, precisamente, la vocazione di ciascuno. L’etica professionale è dunque l’impegno a onorare questa vocazione nella posizione che si occupa entro l’organizzazione della società. Questo punto è capitale. Dimenticare questa specificazione, significa contraddire l’etica della propria professione. Il professore che usa la cattedra a fini politici; il giudice che vuole moralizzare la società con le sue sentenze; l’uomo di Chiesa che usa il suo ascendente spirituale per affermarsi nel campo politico; l’uomo di governo che specula sui sentimenti religiosi per fini di governo; ma anche l’uomo di affari che usa la sua ricchezza per uscire dal suo posto e invadere quello della politica, sono tutti esempi, magari dettati dalle migliori e più morale delle intenzioni, di mancanza di etica professionale.
Etica ed Economia
L’etica è dunque limite; è il riconoscimento dell’essere parte di un tutto, verso cui si è obbligati a non eccedere. Nel campo dell’economia, il limite era addirittura evidente per i ceti medievali e i capitalisti delle corporazioni calviniste: la concezione sociale cristiana, cattolico o riformata, l’era la struttura che dava a tutti e a ciascuno il suo giusto posto e il suo compito corrispondente. Da allora, tutto é cambiato. Le rivoluzioni politiche borghesi hanno travolto le strutture tradizionali delle società. Nessun limite naturale vincolante esiste più. L’economia, l’avevano presentito fin dagli inizi i critici delle rivoluzioni, è divenuta progressivamente la forza costitutiva esclusiva delle società umane. Le altre, diritti culture e religioni, arrancano. L’eroe del nostro tempo non è più il cavaliere senza macchia e senza paura, il dotto umanista, il santo monaco e neppure il commerciante dalla coscienza adamantina, il professionista scrupoloso, l’imprenditore dall’inflessibile stile di vita […]. L’eroe del nostro tempo è l’uomo emergente del management, quello che sa come trattare con i dipendenti, con i clienti, con i politici e gli amministratori: l’uomo d’azione, nella cui biblioteca troviamo prontuari di sociologia, psicologia, organizzazioni aziendali, analisi di mercato, scritti per aiutare ad avere successo.
Il successo: sembra un lascito dell’etica calvinista. E’ invece tutt’altra cosa: là era il premio divino di un compito ben eseguito; qui, il soddisfacimento di pulsioni egoistiche ( segnalarsi, arricchirsi, impadronirsi, dominare ) che l’utilitarismo, la filosofia del nostro tempo, celebra come talenti civili: vizi privati, pubbliche virtù.
I limiti dell’economia
Oggi l’economia sembra riscoprire i limiti. Dopo aver assoggettato tutto alla sua logica e dopo aver orgogliosamente proclamato la fine della politica, anzi: dopo averla piegata una propria funzione dipendente, avverte la propria fragilità. Avendo voluto essere tutto, si accorge del rischio di un difetto di fondamento. Questo Prometeo scatenato dall’alleanza di finanza e tecnologia percepisce il rischio in cui opera […] L’imperativo categorico dello sviluppo, con l’incremento progressivo di produzione e consumi, l’una indotta dagli altri e viceversa, ne mina le basi spirituali. La percezione, ormai diretta nella vita di ogni giorno, degli effetti distruttivi sull’ambiente e la visione degli spaventosi squilibri nella distribuzione delle ricchezze sul pianeta sono fatti che di per sé erodono le basi di consenso verso il sistema economico e i suoi attori, a torto o a ragione ( non è questo il problema ) considerati responsabili di un insostenibile ex-crescenza […] In questo contesto, prende nuovo avvio il discorso sui codici etici degli affari. Buon segno, se ciò sta a mostrare una raggiunta consapevolezza circa la necessità di limiti, circa l’esistenza di una legge più alta delle stesse leggi dell’economia. Perplessità, invece, se le grandi imprese, nazionali e multinazionali, pensassero di risolvere le cose da sé, come problemi di autocoscienza, i problemi che nascono da questa percezione: il barone di Munchausen, essendo caduto in una pozzanghera, pensava di tirarsene fuori aggrappandosi al suo codino. Non sarebbe che un’operazione di facciata, un allettamento verso il pubblico, al massimo un trattato di pace una tregua tra imprese, per scongiurare operazioni troppo spericolate. Le questioni che ripropongono il tema dei limiti dell’economia non possono affrontarsi se non fuori dall’economia stessa, in un ambito più comprensivo che, oggi, non può che essere quello della politica. Questo sarebbe il vero nucleo di un atteggiamento etico dei soggetti economici: nel riconoscere – della politica – la dignità e la necessaria autonomia.
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Aforisma della settimana
“Non cercare di centrare i massimi e i minimi, solo i bugiardi ci riescono.” Victor Sperandeo
L'onnipotenza umana cozzerà contro un muro invalicabile e invincibile che domina da sempre le leggi dell'universo:la natura.<br />Troppo spesso ci si dimentica che l'essere umana ne è parte fino al "midollo" è il caso di dire. Errore gravissimo dimenticarlo!<br />Non si tratta di essere ultras ambientali o ultra capitali……<br />ma è solo logica e buonsenso che dovrebbero