In questo post mi sono servito ancora una volta del report di JP Morgan, per guardare un pò di grafici ufficiali dell’economia americana, al fine di commentarli e capire se il peggio sia passato oppure no.
Grafico 1
(Grafico 1) – La parte sinistra del grafico mostra la durata in mesi delle fasi di espansione economica americana (barra grigia) e quelle di recessione dal 1900 in poi. Sulla destra invece viene raffigurata la gravità in termini di peso, delle recessioni che fino ad oggi si sono manifestate sempre a partire dal 1900. Non ci vuole molto per capire che la recessione avuta fino al 2009, in termini di gravità sia stata seconda solo alla grande depressione degli anni ’30. E’ altrettanto importante sottolineare la media storica delle recessioni in termini di durata, pari a 15 mesi, contro quella delle fasi di espansione situata a 44. Pertanto ben tre quarti del tempo è caratterizzato da un’espansione economica.
(Grafico 2) – Nella parte sinistra abbiamo ormai un grafico noto a molti, ossia la crescita per trimestri su base annua del Pil americano dal 2000 in poi. Evidente è il tracollo nel periodo del 2008/2009 e la successiva ripresa, avvenuta grazie agli stimoli esterni dell’amministrazione pubblica e della Fed. In alto possiamo osservare come la crescita media del Pil americano negli ultimi 20 anni sia stata del 2,6%, mentre nel terzo trimestre la velocità di crescita fosse improvvisamente ridiscesa sotto tale soglia attestandosi all’1,8. Secondo le prime stime, i dati relativi al quarto trimestre 2011, mostrerebbero un crescita del 2,8, superando pertanto la media del 2,6. Tale accelerazione francamente qualche mese fa sembrava piuttosto improbabile.
Nel grafico di destra invece possiamo osservare la composizione del Pil relativa al terzo trimestre. I consumi rappresentano la voce più importante del Pil, con il 71,1, mentre la voce relativa agli investimenti in nuove case ha pesato minimamente. La spesa pubblica, pur rappresentando una voce importante, con il 20%, si trova largamente al di sotto della media dei paesi europei, dove addirittura si attesta vicina al 50%. Letta così gli Stati Uniti si troverebbero nella possibilità di mantenere un livello di spesa adeguato, facendo leva sulla pressione fiscale al fine di richiamare verso il basso il proprio deficit.
(Grafico 3) – Con questo, ho voluto raggruppare 4 grafici relativi alle voci che maggiormente incidono sul ciclo economico del paese. La vendita di veicoli, a dicembre ha migliorato il dato presente sul grafico, portandosi a 14,18 mln annui, ma rimanendo sempre al di sotto della media la cui asta è posta a 14,70. In qualche modo potremmo dire che dopo la voragine del 2008/2009 il mercato ha ritrovato la normalità, nonostante le difficoltà sul mercato del credito, che sicuramente sono maggiori rispetto al periodo pre-crisi.
I beni di consumo, al netto del settore difesa, invece sembrano ritornati addirittura sopra la media, mentre la costruzione di nuove case, che in passato incideva con un peso rilevante sulla formazione del Pil, si trova ancora oggi su livelli minimi, ma a dir poco incomprimibili. In questo caso vedremo successivamente, come qualche lume possiamo vederlo anche nel settore immobiliare.
Farei invece particolare attenzione alla terza voce, ossia al rapporto tra le quantità prodotte e le scorte. Il livello appare molto equilibrato e ritornato nella fase tipica di espansione, mentre sembrano limitate le tensioni sui prezzi nell’immediato.
(Grafico 4) – Questa figura riassume in modo molto chiaro l’equilibrio tra il patrimonio delle famiglie e i debiti contratti. E’ doveroso sottolineare che nel patrimonio sono esclusi i titoli di stato e i debiti statali, che sono due voci che si compensano.
La voce patrimonio nel 2009 aveva raggiunto un minimo a 64,5 trilioni di $ mentre il massimo risale al 2007 con 80,7 trilioni di $.
Interessante notare come la parte principale dei debiti contratti dalle famiglie sia rappresentata dai mutui per il 72%.
Guardando questi valori possiamo capire meglio, quanto il nostro Bernanke abbia a cuore la rivalutazione degli asset.
Il rapporto tra patrimonio e debiti, per l’Italia sembra addirittura un tantino migliore, tanto per spezzare una lancia in favore del nostro Paese.
Ritornando in Usa tuttavia è interessante constatare come la voce case, sulla ricchezza globale incida solo per il 26%. Immaginatevi voi quanto poteva incidere prima dello scoppio della bolla e che colpo abbiano dovuto subire gli americani in termini di minor ricchezza.
(Grafico 5) – In questo caso possiamo vedere il tasso di risparmio (figura in alto), ritornato su valori medi degli anni ’90. Per risparmi viene considerata anche quella parte destinata alla diminuzione dei muti o al deleverage in generale. E’ interessante notare inoltre nella parte inferiore del grafico, la percentuale di reddito delle famiglie destinata al pagamento/ammortamento dei debiti. Prima dello scoppio della bolla immobiliare avevamo raggiunto una percentuale del 14%. Ad oggi siamo prossimi a raggiungere i minimi degli anni ’90 e ’80. Da qui potrebbe sembrare che le famiglie americane siano ritornate su livelli accettabili di debito. Questo è in parte vero, anche se sarebbe doveroso contemplare la quota interesse attuale rispetto a quella degli anni ’80 o ’90. Un rialzo dei rendimenti di mercato, inevitabilmente riporterebbe i valori del grafico a ridosso del 12/13 percento, erodendo reddito e possibilità di rientro alle famiglie.
Tuttavia su questo punto possiamo stare relativamente tranquilli, in quanto difficilmente la Fed attuerà una politica restrittiva prima dei prossimi tre anni, come da essa dichiarato nei giorni scorsi. Piuttosto sarà lecito attendersi prima un risveglio dell’inflazione con conseguente aumento dei redditi e successivamente dei tassi, rendendo alquanto probabile un mantenimento dei livelli fin qui visti nella parte bassa del grafico numero 5. Detto questo è doveroso sottolineare che la fase peggiore di deleverage sembra superata.
(Grafico 6) – Il grafico in questione parla chiaro su quali siano stati gli effetti principali del deleverage. L’indice dei prezzi delle case, dopo un record di 227 punti nel 2005 ha toccato un minimo nel novembre del 2011 a quota 165. La perdita ammonta a oltre il 27%, ma se a questo aggiungiamo il tasso medio di inflazione degli ultimi 7 anni arriveremmo a sfiorare il 45%. Sulla base dei grafici fin qui visti, pertanto, potremmo dire che ulteriori sorprese negative derivanti dal settore immobiliare hanno davvero probabilità minime.
(Grafico 7) – In questa figura infatti possiamo vedere il costo puro sostenuto per l’affitto e quello per l’acquisto di una casa. Visto così questo grafico, domani partirei per gli Usa a comprare case per poterle affittare a privati, non credete? Guardate a che punto ci trovavamo all’indomani dello scoppio della bolla immobiliare. Il costo puro di una casa aveva raggiunto circa 950 dollari al mese contro un affitto medio che non raggiungeva i 700 dollari. Oggi la situazione si è completamente capovolta. Il costo per l’acquisto si è dimezzato, mentre gli affitti hanno proseguito la loro lenta crescita. Questo grafico infatti non vuole altro che confermare, quanto detto al punto 6, ossia che le probabilità che il settore immobiliare abbia toccato il fondo sono piuttosto elevate. Con molta probabilità assisteremo ad una ripresa in punta di piedi, senza particolari accelerazioni verticali nell’immediato.
(Grafico 8) – In questa figura invece viene raffigurato l’andamento dell’inflazione complessiva e quella depurata dalle componenti volatili, tanto cara a Bernanke. Come possiamo osservare non siamo in deflazione, ma nel 2009 rischiavamo di andarci se non fosse intervenuta la Fed con la sua politica quantitativa.
Attualmente l’inflazione rimane largamente sotto il tasso medio degli ultimi 50 anni, situato al 4,2 circa. Nei prossimi mesi il tasso di inflazione depurato dalle componenti volatili, dovrebbe avvicinarsi al 3%, portandosi al di sopra dell’obiettivo Fed. A mio modesto parere quindi, mentre tale scenario potrebbe riservare qualche brutta sorpresa per i possessori di tasso fisso, assisteremmo parallelamente ad una rivalutazione degli asset e contestualmente ad una diminuzione del debito in termini reali.
- L’economia americana sembra sulla via della guarigione.
- I consumatori americani sembrano essersi lasciati alle spalle la fase peggiore.
- Sul settore immobiliare sono presenti più opportunità che rischi.
- La politica di Bernanke si è rivelata quindi vincente.
- L’Europa, dopo aver visto gli effetti devastanti del rigore, proprio con il caso Grecia, seguirà l’esempio americano.
- Gli Usa potranno rientrare dal debito senza recare traumi irreversibili ai consumatori.
Nei prossimi giorni cercherò di approfondire ulteriormente la situazione, ma credo siano ben presenti le premesse per vivere i mercati con meno ansie sulle spalle.
Detto questo io vi saluto, ma vi invito a contribuire al blog anche cliccando sulla pubblicità.
Sempre ovviamente se me lo merito.
Grazie.