Stavo guardando la guida ai mercati di JP Morgan al 31 dicembre e ho colto l’occasione per focalizzare qualche grafico interessante.
Nel grafico sopra è raffigurato il rapporto storico tra il valore di borsa e quello effettivo delle aziende quotate. Un valore uguale ad 1 indica un mercato perfettamente in linea con le valutazioni effettive.
In sostanza è l’andamento dell’indice Q di Tobin.
Al 31 dicembre avevamo pertanto un mercato valutato correttamente, in quanto tale indice si trovava poco sotto a 1.
Dal grafico è comunque interessante notare il valore di questo indice in periodi di stagflazione o recessione. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 questo indice ha raggiunto addirittura valori inferiori a 0,50.
In quel periodo tale dinamica non si è verificata attraverso un crollo dei prezzi di borsa, ma semplicemente grazie ad un’aumento esponenziale dell’inflazione (periodo stagflattivo).
Poteva semplicemente capitare, infatti, che il mercato azionario non recepisse a dovere gli aumenti degli attivi in termini monetari.
Così infatti è stato, fino a che il gap non è stato colmato, grazie ad un evoluzione di mercato sempre più consona a raggiungere la massima efficienza.
Interessante se guardiamo poi la dinamica con la quale è stato raggiunto nel 2000 un livello addirittura vicino a 2.
Negli anni ’90 abbiamo avuto addirittura una continua sopravvalutazione di mercato, per molti versi giustificata dalle attese di crescita, effettivamente ripagate dal ciclo economico.
Altrettanto interessante tuttavia la velocità con la quale il mercato sia ritornato addirittura a 0,80 nel 2003 per poi oscillare tra 1 e 0,80 fino ai giorni nostri.
Attraverso questo grafico possiamo stabilire due cose piuttosto certe a priori:
- I mercati sono ben lontani dal vivere una nuova BOLLA nell’immediato.
- Non ci troviamo in presenza di una sopravvalutazione di mercato.
La massa di moneta stampata ha come obiettivo principale, quello di evitare la deflazione.
Un’inflazione a parità di prezzi di borsa, riporterebbe l’indice rappresentato nel grafico, sotto la soglia di parità, rendendolo quindi maggiormente appetibile.
Questo per dire che la correlazione tra inflazione e mercati azionari è fra le più elevate nel lungo periodo, ma non necessariamente immediata.
Un altro termometro per capire in che fase di valutazione di mercato ci stiamo trovando è il confronto fra
i rendimenti corporate Usa e il ritorno degli utili netti in termini percentuali delle società quotate.
Guardate a che livelli ci trovavamo nel 2000.
Il rendimento in termini di utili delle società dell’SP500 era pari al 4%, mentre quelli sui corporate si trovavano al 9%. Da quel momento abbiamo assistito ad una convergenza fino a ribaltare completamente la situazione.
Ovviamente sono molti i fattori che determinano una convergenza o una divergenza di questi due indicatori.
Diciamo in modo molto sintetico, che ad oggi, non assistiamo ad un rischio elevato sui prezzi dell’equity, mentre i corporate a rischio non scherzano.
Altro grafico che ho trovato molto interessante è la correlazione tra l’indice di fiducia dei consumatori (scala sinistra) e il p/e medio dell’indice SP500 (scala di destra).
Un miglioramento della fiducia dei consumatori inevitabilmente andrebbe a giustificare anche valutazioni più ottimistiche sull’equity.
Detto questo pertanto non rimane altro che seguire con estrema attenzione le seguenti variabili: