MoneyRiskAnalysis – Borsadocchiaperti

S'ode un grido nella vallata. Rabbrividiscono le fronde degli alberi, suonate le campane, il falco è di nuovo a caccia!

L’inflazione sembra diventata davvero una variabile soggettiva. Esiste o meno a seconda dei punti di vista.
Per una persona che guadagna oltre 100 mila dollari l’anno, la spesa alimentare può al massimo superare l’8% a meno che non decida di diventare bulimica, mentre quella in benzina non dovrebbe discostarsi tra un range del 5-7 percento se proprio il tizio non decide di fare Los Angeles-New York in maccihna tutti i giorni.
Purtroppo non tutti guadagnano 100 mila dollari l’anno in Usa, visto che il Pil medio non supera i 47 mila. Ciò basta ad identificare un problema molto serio, che per il nostro Bernanke sembra non esserci.
Il governatore della Fed si ostina a rifiutare di leggere l’inflazione comprensiva dei prodotti alimentari ed energetici, al fine di poter giustificare un atteggiamento amichevole con Wall Street. Non so per quanto tempo, questo atteggiamento, potrà rimanere in piedi, visto che la gente non è stupida e che anzi, si aggiorna alla velocità della luce. Per questo basti pensare alla velocità con la quale le rivoluzioni arabe (giuste o meno) si sono diffuse.
Questo per dire che l’atteggiamento di Bernanke è a dir poco imbarazzante, ma destinato a soccombere di fronte all’evidenza, in quanto lo considero altamente menefreghista nei confronti della classe americana media, che è in netta maggioranza. Penso tuttavia che questo menefreghismo sia solo di facciata, in quanto sto vedendo segnali chiari in favore di un cambiamento della politica monetaria.
Il primo segnale più importante che Bernanke sembra aver dato è quello di invogliare il Governo americano ad intraprendere una politica di riduzione del deficit di indiscutibile concretezza ed efficacia nel breve termine.
L’altro segnale, ancora in fase di incubazione, è stato quello di ordinare nuovi e più severi stress test per il sistema bancario, al fine di capire il margine di manovra della futura politica monetaria.
In questi due mesi scarsi di 2011, abbiamo potuto osservare la celerità con la quale i governatori delle banche centrali hanno cambiato le loro view sullo scenario inflattivo.
Fino ad un mese fa Trichet si era dichiarato sicuro che l’inflazione sarebbe ritornata sotto la soglia del 2% (inflazione programmata) entro la fine del corrente anno. Ad oggi, invece, con l’inflazione Ue già al 2,4 il suo atteggiamento è radicalmente cambiato. Addirittura Bighi Smaghi, che è nel comitato della Bce, non si è tirato indietro di fronte all’esigenza di un rialzo dei tassi Ue in un prossimo immediato futuro. Basti pensare che la Svezia, il cui tasso di inflazione si è portato al 2,5, questa settimana ha ritoccato i tassi dall’1,25 all’1,5. Perfino la Turchia ha rivisto al rialzo i propri tassi, visto che le pressioni inflazionistiche stanno davvero minacciando la stablità apparente degli ultimi mesi.
Il mercato ovviamente non dà il minimo peso a tutto questo, ma ciò lo ritengo semplicemente frutto di un comportamento tipico delle fasi finali di un trend. Penso ad esempio agli switch, che da numerose settimane, stanno defluendo dai fondi monetari o obbligazionari a favore di quelli azionari. Questi spostamenti mi sembrano un pò tardivi e frutto soprattutto dell’avidità del sistema bancario e finanziario, che preferiscono indirizzare i propri clienti su prodotti molto più redditivi per le banche e consulenti stessi. Lo stesso giochino che si è visto nel 2007 e nel 2000, per intenderci.
Fatta questa breve parentesi, voglio soffermarmi su un dato che apparentemente non significa molto in quanto è il frutto di un aggregato di indicatori passati, ma che rappresenta una fotografia realistica:
Il superindice americano, in febbraio è salito solo dello 0,1, contro livelli superiori all’1 in dicembre e dello 0,80 in gennaio. Sicuramente al forte rallentamento avrà contribuito il maltempo, la neve o qualche imprevisto, ma questi fattori erano ben compresi nelle attese che vedevano una crescita di almeno 0,3. Il fatto quindi che il tasso sia stato un anemico 0,1, non può altro che far pensare ad un rallentamento avvenuto della “formidabile quanto miracolosa” crescita economica americana. Se a questa togliamo l’industria del petrolio che ha beneficiato dei rialzi degli ultimi due mesi (vedi Pil Norvegia oltre il 2%) non posso fare a meno di domandarmi dove stia tutta questa grande ripresa economica.
Per gli amanti delle statistiche forti, non potrà invece essere sfuggito il -6,60 del Pil della Grecia, contro aspettative di -5 e precedente di -4,60. Francamente nemmeno il sottoscritto credeva a tanto, ma è difficile fare calcoli quando un paese ha da tempo rotto tutti i propri equilibri.
Nel lontano Oriente, la festa della produzione a basso costo, sembra davvero finita, per fare spazio a rivendicazioni salariali giuste, quanto mai indispensabili per fronteggiare il verticale aumento del costo della vita. Mantenere i salari bassi, con la pentola a pressione, finirebbe per farla scoppiare con effetti devastanti sulla stabilità sociale di molti paesi di quell’area in primis la Cina. E quanto si è visto nei paesi Arabi è solo un avvertimento di cosa significhi la fame e la voglia di far emergere l’individuo inteso come essere umano.
Questo scenario costituirà un elemento che renderà quasi inefficace le future politiche monetarie restrittive, le quali si abbatteranno negativamente sulla crescita economica, ma non sulla riduzione dell’inflazione.
Negli ultimi venti anni, vorrei ricordare, che la speculazione salariale, è stato il fattore principale che ha tenuto su livelli bassi la crescita dell’inflazione. In quel caso le politiche monetarie si sono rivelate quantomai efficaci per far rientrare i rialzi dei prezzi, non appena questi accennavano a risvegliarsi. Addirittura in molti casi abbiamo assistito ad un’inflazione vicina allo zero nonostante tassi compresi tra il 2 e il 3%, ritenuti all’epoca molto bassi.
Questa volta il giochino si è rotto per davvero:

  • Materie prime alle stelle in particolare quelle alimentari
  • Popolazione da sfamare in costante aumento. Basti pensare al consumo di carne in areee geografiche tipicamente più dedite alla coltura di riso etc. Questo si riflette inevitabilmente su un aumento costante della domanda di cereali da parte dei nuovi allevamenti e così via.
  • Prezzi salariali nei paesi emergenti. In poche parole sembra rivivere in quei paesi quello che per noi è stato il periodo degli anni ’60/’80.
  • Cambi deboli nei paesi avanzati, che renderanno sempre più costose le importazioni di quei beni indispensabili per vivere.

La politica dei tassi, vista la fase di deleveraging privato, non sarà più il volano visto in passato. I consumi di beni, derivanti dal credito, sono in diminuzione indipendentemente dai tassi applicati. Le banche stanno rientrando e tale processo sarà così almeno fino a Basilea 3.

Per coloro che contribuiranno al blog è pronta la tabella dei titoli.

Categories: stagflazione

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