La Grecia sta per essere salvata, attraverso gli aiuti della UE e del FMI, che dovrebbe seguire il paese nei prossimi dieci anni, al fine di attuare i piani di austerità richiesti e di riformare il sistema fiscale. Insomma: si sta decidendo di vedere il moscerino e non la trave nell’occhio. In alcuni casi si parla di interventi pari a 120 mld, al fine di salvare un paese ormai “cotto”, che nella sua naturalezza, chiede di svincolarsi dagli equilibri rigidi e penalizzanti, che legano il sistema dell’Unione Monetaria. Un paese che della svalutazione competitiva e della sua ineguagliabile bellezza culturale e paesaggistica, ha fatto la fortuna dei suoi abitanti. Basti pensare che il Pil correlato al turismo è vicino al 20%, mentre sul fronte tecnologico e della competitività industriale abbiamo un’incidenza sul Pil pari allo zero.
Andiamo quindi nella direzione sbagliata, pensando che il problema non sia strutturale ma solo isolato ad una contrazione di liquidità, risolvibile con interventi tampone, che dovrebbero scongiurare il diffondersi di un’epidemia sistemica, su altri paesi i cui conti sono al limite dello sbando.
Nell’articolo di Riolfi sul Sole 24 Ore viene fatta una descrizione molto dettagliata di quanto è accaduto e di quali siano i rischi a breve e medio termine sui mercati finanziari.
L’altro giorno ho pubblicato un post dal titolo: “quale futuro per la spesa pubblica”. Il fine era quello di far intuire quali fossero le possibilità di crescita economica da domanda pubblica, oltre che le speranze di una diminuzione della pressione fiscale.
Il problema dei debiti pubblici non si risolverà salvando la Grecia, in quanto essa come sostiene Roubini è la punta dell’iceberg. Non voglio fare catastrofismi, ma solo riportare dati oggettivi. Su questo link potete vedere lo stato dei debiti pubblici, ricordando al lettore che non esiste un livello critico che determini un abbassamento della fiducia o ancor peggio di uno stato di default. Esiste invece il modo con cui uno Stato interfaccia con il mercato, che incide sulla fiducia e che a sua volta si riperquote nella sostenibilità del debito. Nella tabella indicata nel link la cui fonte non è il mio blog, ma Eurostat, il dato più rilevante è il seguente:
At the end of 2009, the lowest ratios of government debt to GDP were recorded in Estonia (7.2%), Luxembourg (14.5%), Bulgaria (14.8%), Romania (23.7%), Lithuania (29.3%) and the Czech Republic (35.4%). Twelve Member States had government debt ratios higher than 60% of GDP in 2009: Italy (115.8%), Greece (115.1%), Belgium (96.7%), Hungary (78.3%), France (77.6%), Portugal (76.8%), Germany (73.2%), Malta (69.1%), the United Kingdom (68.1%), Austria (66.5%), Ireland (64.0%) and the Netherlands (60.9%).
Avete letto bene!!!! L’Italia nel 2009 aveva il rapporto Debito Pubblico/Pil più alto dell’UE, mentre la Spagna rientrava fra quei paesi che ancora si mantengono al di sotto della soglia del 60%, sfondata ormai da molti, fra i quali la Germania.
Questa è la conferma pertanto di quanto da me indicato e cioè che non esiste un livello standard per determinare il rischio paese, almeno così sembra, altrimenti l’Italia dovrebbe pagare almeno 150 bp rispetto alla Spagna, quando invece è quasi il contrario.
Ciò però non significa che il mercato al momento abbia ragione. Affossare l’Italia, al pari di Grecia o Spagna significherebbe determinare la fine del sistema capitalista e questo la speculazione lo sà bene.
Quando vedo però che il paese al top del debito pubblico in Europa, contribuisce per oltre 5 mld di euro al salvataggio momentaneo della Grecia, sorrido (si fa per dire) in quanto, pensando al giochino delle tre carte, non ci trovo la benchè minima differenza.
Detto questo lascio a voi riflette sul fatto se il problema sia la Grecia, oppure la polveriera che sta sotto il tappeto in cui camminiamo tutti i giorni.
Mi chiederete voi se esistono delle vie d’uscita? Io non sono ovviamente in grado di proporre alcuna soluzione, in quanto non mi ritengo nè capace, nè abile nel farlo. Dico solo che i problemi andrebbero affrontati per come sono e non cercare di mascherarli all’infinito, cosa che è stata fatta per troppo tempo, in quanto l’incubo difronte al quale ci risveglieremo sarà peggiore di quanto in realtà possa sembrare.
Il fatto che ancora i mercati azionari non siano entrati nella fase di panico è da ricercare nel sentiment positivo degli ultimi mesi e soprattutto nella bassa direzionalità a cui ci avevano da tempo abituati. Adesso molti campanelli di allarme si sono accesi, sia in termini di sentiment che di volatilità.
Ecco a voi qui sotto una variabile non rappresentativa di debito: l’oro