Cercando nell’archivio del Sole 24 Ore ho voluto riprendere questo aricolo del 28 febbraio 2007 per due motivi molto semplici : il primo, ovviamente, è per vedere quanta strada è stata fatta in tre anni sotto l’aspetto del debito pubblico americano e non. Il secondo perchè a quei tempi vi era meno faziosità e ipocrisia nel redigere scenari di lungo termine, in quanto chi lo faceva non aveva la pistola puntata alla tempia dal sistema bancario.
L’America come l’Italia: un Paese con tanto debito pubblico, che spiazza gli investimenti privati, e che tassa i contribuenti per pagare gli interessi; il presidente della Fed Ben Bernanke ha lanciato l’allarme: di questo passo, il deficit federale degli Stati Uniti diventerà un grande problema. Sono previsioni a lunga scadenza e vanno prese con le pinze. Anche così, lo scenario disegnato da Bernanke – e calcolato dal Congressional Budget Office – è però preoccupante: a causa dell’invecchiamento della popolazione, «il rapporto tra debito e Pil dall’attuale 37% raggiungerebbe nel 2030 il 100% e continuerebbe poi a crescere esponenzialmente». FRANCAMENTE ABBIAMO BRUCIATO LE TAPPE. Le spese per interessi, a quel punto, sarebbero uguali al 4,5% del Pil. Italia e Giappone sono abituate a tutto questo. Gli Stati Uniti no. La cattura, attraverso tasse e titoli di Stato, di tanto risparmio da parte del settore pubblico significa una cosa sola: meno risorse a disposizione per i privati, e quindi per gli investimenti, l’innovazione, la nascita di nuove aziende che stimolino la concorrenza. Una triste realtà, per esempio, in Italia. «Alti tassi di indebitamento pubblico toglierebbero fondi alla formazione di capitale privato e questo rallenterebbe nel tempo la crescita dei redditi reali e gli standard di vita», ha detto Bernanke. È vero che gli Stati Uniti sono in grado di attirare risparmio straniero ADESSO NON PIU’, ma questo non è solo un bene. «La necessità di pagare interessi all’estero lascerebbe una porzione più piccola della futura produzione del Paese a disposizione dei consumi domestici». Nessuna scorciatoia è possibile. Non la maggiore crescita economica: «Da sola – ha detto Bernanke – è improbabile che risolva i nostri problemi fiscali». Non l’immigrazione, che pure porta preziosa linfa nuova all’economia americana: «Anche un raddoppio nei tassi di immigrazione, da uno a due milioni di persone all’anno, riuscirà a ridurre in modo significativo gli squilibri fiscali del Governo federale».Quello che il Governo americano deve fare è dar vita a «politiche fiscali che siano sostenibili, efficienti, ed eque tra le generazioni». E PENSARE CHE SI PARLAVA DI AUMENTARE LE TASSE. Utili possono inoltre essere anche «politiche che promuovano i risparmi pubblici e privati, per lasciare un’economia più produttiva ai nostri figli e ai nostri nipoti». NON MI SEMBRA CHE SIAMO ANDATI IN TALE DIREZIONE. Più risparmio negli Usa, però, significa meno spese degli americani all’estero, e questo deve spingere europei e asiatici a prepararsi. QUESTO PER CHI CREDE CHE GLI EMERGENTI SIANO INDIPENDENTI DAGLI USA. Causa di tutto è naturalmente la demografia: molti vecchi, pochi giovani, vite – fortunatamente – più lunghe, spese mediche più costose. Non sarebbe male allora, secondo Bernanke, «esplorare strumenti per rendere il mercato del lavoro più adatto a persone anziane che vogliano continuare a lavorare». VOI CHE STATE PER ANDARE IN PENSIONE INVENTATEVI UN ALTRO LAVORO, PERCHE’ PANTALONE HA FINITO I SOLDI!!!
Ovviamente le maiscole in grassetto sono alcune delle mie espressioni spontanee, a fronte di evidenti verità o di variabili andate nella direzione opposta. A mio modestissimo parere da questo articolo si ricavano molte cose. Prima di tutto, la relazione di Bernanke voleva essere una previsione pessimistica, utile a stimolare iniziative del governo in favore di un risanamento dei conti pubblici. In secondo luogo si risalta in modo inequivocabile cosa significhi possedere un debito elevato ai fini degli investimenti futuri, dei consumi, della pubblica assistenza e delle opportunità lavorative. Per finire, voglio risaltare il problema tassi che oggi non esiste. Cosa succederebbe se aumentassero, indipendentemente dalla volontà della Fed? Visto per come sono andate le cose negli utimi due anni, nei quali abbiamo bruciato le tappe di un ciclo ventennale vizioso, ipotizzato a suo tempo, mi viene da pormi delle domande: la situazione attuale è sotto controllo? Sono in grado le autorità monetarie e i governi di pianificare il futuro per i prossimi cinque anni? Dare una risposta negativa sarebbe come sottovalutare il sistema globale, ma allo stesso tempo non dobbiamo più di tanto divinizzare le istituzioni che al momento tengono il vulcano in letargo. Ad oggi ci troviamo difronte ad una montagna di debiti, pubblici e privati che in qualche modo dovranno dimostrare di essere onorati. Nelle prossime settimane non mancheranno ingenti emissioni di Titoli di Stato che metteranno a dura prova i mercati. La Grecia ha già messo le mani avanti, chiedendo l’utilizzo per il 20% di un prestito della UE pari a 54 mld entro i prossimi tre mesi, segno questo che i paesi più esposti a bassa credibilità economica faranno non poca fatica a rinnovare i propri debiti. Ovviamente non sappiamo quando il vulcano del debito terminerà il letargo, ma quando lo farà sarà senza dubbio troppo tardi per coloro che non avranno pianificato tale scenario. Ho voluto soffermarmi sulla questione debito pubblico e privato in quanto il fabbisogno a cui sono sottoposti molti Paesi, obbliga loro ad accelerare la famosa exit-strategy, a costo di sacrificare nei prossimi mesi e anni qualche punto alla crescita. L’alternativa sarebbe quella di una crescita esponenziale del debito visti i livelli attuali, del quale si diceva preoccupato tre anni fa Mr. Bernake. Siccome, adesso non siamo nel 2030 ma nel 2010, tale preoccupazione credo sia diventata un incubo dal quale dover uscire il più velocemente possibile, onde evitare che nel 2030 si possa celebrare l’anniversario N della fine del capitalismo.
BREVE CENNO AI MERCATI: Primo giorno dell’anno borsistico all’insegna del rialzo. L’indice Eurostoxx si avvicina quindi verso l’obiettivo indicato a quota 3040 (obiettivo del famoso diamante superato a quota 2910). Gli indicatori di brevissimo favoriscono tale obiettivo anche se registro ancora assenza di direzionalità, ancora più evidente sulle carte settimanali. Personalmente non sono favorevole a prendere rischi particolari su questi livelli. Ricordo ai lettori che fino alla seconda quindicina del mese non vedo particolari segnali di inversione. Fra i titoli da pura scommessa che offrono segnali interessanti vedo: Infineon (GER) da lavorare alla stregua di un opzione vista la volatilità, Vallourec (FRA) e CIR (ITA). Il mercato italiano sembra al momento perdere ulteriore forza rispetto allo Stoxx. In questa settimana usciranno dati estremamente seguiti come la disoccupazione mensile attesa al 10,10 circa, mentre sempre secondo le attese non si dovrebbero registrare perdite dei posti di lavoro dopo mesi di risultati negativi. Si aprirà poi nelle due prossime settimane il sipario sulle trimestrali americane e finalmente potremo assistere ad un aumento della direzionalità, almeno sul breve.
Gran bell'articolo.Ti leggo spesso. Complimenti per le tue analisi, son molto precise. Anche per me la situazione dei debiti pubblici sta davvero degenerando un po ovunque. Vedremo cosa succederà nei prossimi mesi. Speriamo bene. Ho creato da poco anche io un mio blog, ma mi dedico più al trading e all'analisi tecnica. cmq ti mando il link magari facci un salto ciao<br /> <br />http://